venerdì 26 marzo 2010

Discorso introduttivo dell'iniziativa elettorale "la/a SCUOLA del/dal FUTURO" - Corato 25/03/10

Pubblico il discorso introduttivo che ho letto in occasione dell'iniziativa elettorale "la/a SCUOLA del/dal FUTURO" svoltasi a Corato il 25/03/10 con l'Assessore regionale al Diritto allo Studio Gianfranco Viesti, il Coordinamento insegnanti coratini per Vendola ed un gruppo di studenti.


I nomi delle stelle sono belli:
Sirio, Andromeda, l'Orsa, i due Gemelli.
Chi mai potrebbe dirli tutti in fila?
Son più di cento volte centomila.
E in fondo al cielo, non so dove e come,
c'è un milione di stelle senza nome:
stelle comuni, nessuno le cura,
ma per loro la notte è meno scura.

Voglio aprire con questa filastrocca di Gianni Rodari questo incontro-dibattito sulla scuola co-promosso dalla Fabbrica di Nichi di Corato e dal Coordinamento insegnanti coratini per Vendola, alla presenza dell’assessore al diritto allo studio Gianfranco Viesti che ringrazio per la disponibilità.

E’ una filastrocca che ci parla di una inattualità perché invita a guardare il cielo non concentrandosi sulle stelle più note, quelle coi nomi più grandi e altisonanti, ma su tutte le stelle: quel milione di stelle senza nome, comuni, prive di cura, a cui il viandante notturno deve gratitudine per la luce che dignitosamente, senza la riconoscenza di vedersi chiamate con un nome proprio e cantate con questo dai poeti, emanano.

E’ una filastrocca inattuale in un tempo in cui un individualismo strisciante e l’esaltazione del privato hanno occupato interamente la scena, rubandola ai sogni collettivi, alla dignità faticosamente conquistata da milioni di individui che nel novecento hanno fatto irruzione sulla scena pubblica, contribuendo materialmente a determinare le nostre vite. Un privatismo di cui hanno sofferto e soffrono soprattutto le comunità ed i territori lontani dai centri di potere, quei territori e quelle comunità capaci di tirar fuori il meglio di sé proprio dal lavoro, dal sacrificio fatto lontano dai riflettori, privo di celebrazioni.

In assenza di ragioni collettive ogni individuo è più solo, derubato di una prospettiva diversa per sé e per i propri figli in una società più giusta, si guarda intorno, angosciosamente alla ricerca di capri espiatori della sua prigionia sociale e culturale. Si spiegano così i due fenomeni politici che l’hanno fatto da padrona nell’Italia degli ultimi vent’anni: il berlusconismo, la celebrazione di quell’uomo che si è fatto da solo infrangendo ogni regola, calpestando ogni legame sociale e rivendicando ciò come un merito, ed il leghismo, la rivendicazione di un egoismo sociale che misconosce ogni forma di solidarietà che non sia quella pietistica, che scaccia come ipocrisia e buonismo ogni proposta di dibattito collettivo che tenga in considerazione le posizioni degli ultimi.

La scuola pubblica, la più imponente presa in carico delle disuguaglianze, impegnata non a lenire le ferite che queste causano, ma a creare le condizioni affinché queste non si riproducano, era inevitabile che diventasse anno dopo anno un corpo estraneo di una società cinica e disillusa. Nata come terminale di uno stato che con essa costruiva la propria unità territoriale e sociale, in una società che riconosceva autorevolezza e credibilità agli insegnanti, con la brusca virata degli ultimi vent’anni la scuola pubblica si è ritrovata orfana di un progetto, di una missione, a dover fare i conti con un progressivo ridimensionamento delle risorse. Ed a proposito dell’autorevolezza e della credibilità degli insegnanti, stelle senza nome che illuminano la notte delle periferie, dei quartieri popolari, che silenziosamente costituiscono l’impalcatura di una società e di uno stato che troppo spesso li ha umiliati, abbiamo assistito ad una delegittimazione quotidiana (spesso a voce alta) come quella riservata a tutti i dipendenti pubblici: silenziosamente ha prevalso un tipo umano ad essa completamente antitetico che alla credibilità ed all’autorevolezza ha sostituito il fascino del successo ad ogni costo, alla dedizione per il proprio lavoro le payette ed i lustrini, fieramente indifferente ad ogni cosa che si discosti di un millimetro dal proprio interesse e dalla propria auto-realizzazione.

Questo processo che può apparire lontano, distante dalle nostre vite, è più vicino di quanto si possa immaginare. La rappresentazione plastica della marginalità del mondo della scuola dal dibattito politico, l’esilio pubblico a cui questa è stata relegata dai nostri tempi arriva fin nelle nostre istituzioni cittadine: zero consiglieri comunali su 30 e zero assessori comunali su 10 provengono dal mondo della scuola. E’ l’immagine chiara di come oggi il “mondo che conta” sia altrove: nelle imprese, negli ospedali, negli studi professionali.

Negli ultimi anni poi, noi pugliesi ci siamo trovati a dover fare i conti con un duplice fenomeno: i tagli del ministro Gelmini e le iniziative del Governo regionale in materia di pubblica istruzione.

I primi hanno avuto il sapore di una vera e propria resa dei conti che mette in ginocchio definitivamente un corpo già provato. Dopo aver reso vana la promessa di uguaglianza che la scuola opera quotidianamente e faticosamente, avendo costruito una società, lì fuori dalla scuola, che vanifica ogni tentativo di far partire tutti dallo stesso livello, ora il governo sembra voler zittire definitivamente quella promessa stessa: ‘non siamo tutti uguali, quindi è inutile sprecare risorse per provare a diventarlo’. La retorica messa in atto dal ministro Gelmini e dal ministro Brunetta sulla meritocrazia sono un astuto tentativo di mimetizzare una nuova forma di classismo: se non meriti è inutile che ti lagni, che evochi disagi sociali e familiari, che ti aspetti che la comunità perda tempo e risorse per permetterti di rimetterti in carreggiata. Se non meriti, scendi dal treno della scuola e dell’università pubblica e guai a quei controllori che non si mostrano tassativi ed inflessibili, appesantendo il convoglio e con esso tutto il paese.

Non siamo stati abbastanza attenti di fronte a questa astuzia retorica, eppure bastava ricordarsi il titolo di uno dei capitoli di “Lettera ad una professoressa” di Don Lorenzo Milani: “la scuola dell’obbligo non può bocciare”: non può farlo quella scuola che opera nei quartieri popolari laddove sbattere la porta in faccia ad uno studente significa rispedirlo in case povere di ogni voglia di emancipazione sociale, non può rinunciare a cuor leggero ad insegnargli il piacere di saper leggere e scrivere, argomentare, difendere la propria dignità e l’onestà del proprio lavoro, non può rinunciare a far questo soprattutto in quei quartieri in cui domina la criminalità organizzata. Non può darsi pace la scuola pubblica immaginandosi come un ufficio protocollo cui ognuno si presenta con il proprio bagaglio di merito da far autenticare. Non così è stata pensata, non è stata scelta per questo da chi ha deciso di dedicargli la propria vita.

A fianco di questi provvedimenti umilianti, chi lavora nella scuola e la cittadinanza pugliese tutta ha conosciuto poi le politiche del governo regionale. Non mi dilungherò in merito ad esse, abbiamo la fortuna di avere con noi chi le ha messe in atto ed avrà modo di esporle e spiegarle. Mi limito a dire che hanno avuto il sapore di un’inversione di tendenza: dopo tanti anni c’era qualche istituzione che non solo stanziava fondi per la scuola pubblica, ma rivendicava ciò come un investimento di civiltà, come un dovere della pubblica amministrazione. Non è un caso che un gruppo di docenti a Corato, vistisi rispettati e re-investiti della missione cui hanno deciso di dedicare la propria vita, abbia voluto essere parte di questa campagna elettorale.

L’involuzione che ho raccontato, e che in Puglia ha finalmente trovato un’inversione di tendenza, ha ragioni profonde sulle quali tutto il centro-sinistra italiano dovrà riflettere molto se vorrà presentare un progetto credibile all’elettorato ed all’opinione pubblica. Con la crisi economica del 2008 un ciclo politico sembra essersi concluso, un ciclo politico in cui le forze progressiste si sono viste messe nell’angolo, private del loro vocabolario e costrette ad inseguire le politiche delle forze neo-conservatrici. Rimetterci in cammino oggi significa riconoscere gli errori fatti. L’ha fatto magistralmente Romano Prodi con un’editoriale su “Il messaggero” del 14 Agosto scorso in cui scriveva:

“La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour era una fucina di novità, nella prassi di governo i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio.

Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. […]

Nel frattempo il cambiamento della società continuava secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell’uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale.”

E poi: “per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti”. In Puglia ciò sta avvenendo già da tempo e le politiche scolastiche sono un tentativo di ricostruire, sotto le macerie di una società cinica e individualistica, un vincolo solidaristico.

Da sempre le decisioni che un governo prende in materia di pubblica istruzione parlano non solo della pubblica istruzione: ci danno la traccia della volontà di questo di investire sul futuro, di affrontare le disuguaglianze, di non rassegnarsi ad esse. Non è un caso che quando scendono in piazza gli studenti, i precari della scuola, manifestano un malessere sociale diffuso e nello stesso tempo suscitano speranze in settori dell’opinione pubblica distanti dal mondo della scuola e dell’università. Non è un caso se oggi le politiche scolastiche del governo regionale suscitano interesse anche in quei settori.

Da anni attraversiamo la notte, con l’angoscia di chi attende un’alba che ci restituisca speranze e dignità. Tante albe ci sono state annunciate per poi rivelarsi illusorie e ricacciarci ancora più soli nel buio. Da molti oggi la Puglia è descritta come un’alba possibile per il nostro paese, ed è nostro dovere coltivare questa possibilità. La notte sarà ancora lunga, non dobbiamo farci illusioni aspettando che l’alba arrivi da un momento all’altro, ma impegnare i nostri sforzi per orientarci nel buio e cominciare un nuovo cammino; e l’unica guida possibile sono le stelle, quel milione di stelle senza nome, comuni, che nessuno cura ma che possono renderci la notte meno scura ed il viaggio meno solitario.

Buon cammino a tutti!


mercoledì 17 marzo 2010

Carlo Formigoni torna a Bari

Il maestro di un’intera generazione di attori e registi baresi è al Kismet con il Faust di Goethe

da barilive.it 17/03/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16674

Carlo Formigoni, attore e regista teatrale, dopo aver maturato un’importante esperienza al London Academy of Music and Dramatic Art, approdò al Berliner Ensemble, il teatro di Bertolt Brecht. Maestro di teatro, ha posto le basi del teatro-ragazzi italiano ed attraverso la sua opera di formazione sono nati il Teatro Kismet di Bari e la compagnia Il cerchio di gesso di Foggia. Tra le sue regie, caratterizzate sempre dalla semplicità brechtiana di un teatro morale e necessario, ultima arrivata è quella della Tragedia del dottor Faust, da Goethe, realizzata con la compagnia Teatro Le Forche di Massafra, stasera in programma al Teatro Kismet. Alla vigilia dello spettacolo abbiamo intervistato questo artista e professionista cui la città di Bari deve molto.

- Come mai hai deciso di portare in scena il Faust di Goethe?
- E’ un grande amore e il desiderio di portarlo in scena è sempre stato una costante, non una decisione improvvisa. L’ho messo in scena più volte, anche a Vienna, ed ha fatto maturare in me l’idea di essenzializzare il conflitto per renderlo più comprensibile al pubblico, perché quando metti in scena un’opera così mastodontica il nocciolo della questione rischia di essere sommerso da materiale eccessivo. Un’opera teatrale richiede economia, selezione; perciò puntando l’attenzione sul conflitto Faust-Mefisto, emerge il nocciolo della questione: la presentazione di due componenti di ogni essere umano, il lato che tende alla nobiltà, alla generosità ed il contrario, gli impulsi istintuali.
- Uno degli obiettivi che ti sei è sempre proposto è quello di avvicinare il teatro ai ragazzi: quali reazioni registri quando proponete questo spettacolo alle scuole?
- Lo seguono sempre con attenzione e questo è molto per dei giovani che sentono per la prima volta questo testo così complesso.

- Come ci si confronta con i classici? Non si corre il rischio, per renderli meno lontani, di ricadere in una ossessione per la contemporaneità?
- I classici sono classici perché contengono elementi di una tale profondità umana che più o meno puoi ritrovare in tempi diversi.
- Sei arrivato in Puglia nel 1965, in anni in cui fare teatro, cultura qui non doveva essere facile; eppure è riuscito a seminare tanto. Su cosa hai fatto forza?
- Mi fu affidato l’insegnamento di pratica teatrale a Santa Teresa dei Maschi, ed avendo avuto la fortuna di essere allevato al Berliner Ensamble, il teatro di Bertolt Brecht e perciò di aver assorbito una tecnica di grande aiuto per questa professione, è quella che ho cercato di trasmettere. Per due anni ho lavorato con i ragazzi che sono stati disciplinatissimi.
- Oggi torni al Kismet dopo circa trent’anni dalla sua fondazione nella quale ha avuto un ruolo decisamente fondamentale: che sensazioni provi?
- E’ emozionante perché ritorni in un luogo in cui hai cercato di dare tutto il meglio di te stesso. In questa situazione poi si è anche felici di mostrare quello che uno ritiene debba essere o possa essere il teatro.

sabato 6 marzo 2010

Una Polverini... da sparo

Il caso che sta facendo tremare la coalizione al governo
Fuori la Polverini dal Lazio, in bilico la lista PDL a Roma, ecco una vicenda che rischia di passare alla storia

da barilive.it 3/03/10 - p.te 1 http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16531 - p.te 2 http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16533

Proviamo a ricostruire un po’ di fatti legati all’esclusione della lista del Pdl per la provincia di Roma dalla corsa alle regionali del Lazio ed a porci alcune domande.

E’ il pomeriggio del 27 Febbraio quando alcune agenzie cominciano a battere la notizia della possibile esclusione della lista perché non sarebbe stata presentata entro la scadenza prevista dalla legge. Le motivazione proposte da Alfredo Milioni, presidente del XIX municipio di Roma ed incaricato del Pdl per la consegna delle liste, sono a dir poco contraddittorie: a metà strada tra l’urgenza di uscire dall’ufficio elettorale per prendere un panino, delle minacce ricevute da non si capisce chi e delle aggressioni da parte di alcuni militanti radicali non identificati.

Cominciamo col dire che è quantomeno curioso che un partito come il Pdl abbia affidato a Milioni la consegna delle liste, essendosi questo reso protagonista già nel 2006 della sparizione delle liste di FI per le comunali di Roma. In quell’occasione, dopo aver appreso che non sarebbe stato candidato alla presidenza del suo municipio sparì per 24 ore con le liste staccando telefono di casa e cellulare, costringendo il suo partito ad un bis di raccolta di firme notturna in extremis, per poi ricomparire l’indomani insieme alle liste sottratte.

Il 28 Febbraio, giorno successivo all’escusione della lista del Pdl, su Il Giornale Vittorio Feltri torna ad attaccare Gianfranco Fini e tutta la componente ex-AN con un editoriale intitolato “Così Fini vuole rubare il Pdl al Cavaliere”. Il direttore sostiene che di fronte all’incapacità degli ex-FI ad agire all’interno di un partito classico fatto di regole, statuti, organismi dirigenti, ed all’assenza di Berlusconi (impegnato nell’attività di governo), gli ex-AN la stanno invece facendo da padrone, conquistando sempre più tessere da spendere poi al momento opportuno per far fuori Berlusconi. Completamente assente un riferimento alla vicenda delle liste laziali.

Nel frattempo la Polverini, seriamente preoccupata, dà battaglia. Comincia da un gazebo in Piazza del Popolo. Ad accompagnarla, di nomi noti, ci sono solo il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la giovane deputata, pasionaria ex-FI, Beatrice Lorenzin; assenti ministri ed esponenti di spicco del Pdl. In quell’occasione il sindaco di Roma e la Polverini invocano in solitaria l’intervento del Colle. A questo appello non segue alcuna sollecitazione da parte di nessun altro all’interno dello stato maggiore del Pdl.

Due giorni dopo l’accaduto (1° Marzo) Renata Polverini, forte della sua esperienza di lotta nel sindacato, indice una maratona oratoria in Piazza in Lucina. Le cronache parlano di flop: l’appello al popolo ottiene una risposta corposa solo da parte di un gruppo di giovani che si definiscono “corrente militante che fa capo ad Alemanno”, giovani che prima della vittoria del Pdl alle comunali di Roma non militavano ne’ in AN, ne’ in FI, ma nella Fiamma Tricolore ed in Casa Pound. Sul palco a fianco a lei ci sono ancora una volta Alemanno e la Lorenzin. A denunciare il presunto abuso d’ufficio di chi si è rifiutato di accettare le liste e la violenza degli ignoti militanti radicali rimangono soltanto i presenti su quel palco.

Sui giornali, soprattutto i giornali di famiglia del Presidente del Consiglio, la musica è tutt’altra e questo non può che indurre allo stupore. Siamo stati abituati da quelle testate e dai loro rispettivi direttori ad articoli che soffiavano sul fuoco della polemica, che attaccavano frontalmente qualunque soggetto si mettesse di traverso al grande capo: magistratura, opposizioni, stampa libera etc. Il luogo ideale insomma in cui rimbalzare le accuse ai radicali ed ai pubblici ufficiali dell’ufficio elettorale. E invece l’obiettivo polemico è tutt’altro. Il 1° Marzo Il Giornale titola così: “Un partito di matti. La mancata presentazione della lista in tempo utile è il grottesco risultato degli equilibrismi per accontentare gli ex Forza Italia e gli ex An. Che creano un mostro burocratico e inefficiente ed il condirettore Alessandro Sallusti è quello più esplicito in merito alla gestione paritaria del Pdl da parte degli ex AN e degli ex FI, additata come unica responsabile dell’accaduto. Scrive: “Maledetto manuale Cencelli e belli i tempi in cui un gruppo di inesperti e disperati signori mise in piedi un partito con le armi della velocità e dell’efficienza. Lo chiamarono Forza Italia, gli snob lo ribattezzarono «partito di plastica» in segno dispregiativo. In effetti era leggero, inaffondabile, poco costos.”. E poi, rivolgendosi ai “soloni del partito strutturato democratico e lottizzato” che “sono lì a urlare che l’esclusione della lista è un attacco alla democrazia” invoca un “atto di umiltà”, “una grazia” che porti allo sbaraccamento del mostro burocratico nel Pdl. In poche parole si augura che nel Pdl sparisca anche quel minimo di dibattito interno presente e che le decisioni (e le candidature!) tornino ad essere prerogativa esclusiva del capo, senza mediazioni estenuanti, discussioni condivise e altre cose che danno tanto di vecchia politica (o di democrazia, dipende dai punti di vista!).

Oggi (2 Marzo) il titolo scelto da Libero è a dir poco irridente “Pdl = Polli della libertà”. Nel suo editoriale, dai toni certo meno guerrafondai di quelli usati da Feltri, Belpietro scrive: “Era inevitabile che a forza di prendersi a schiaffi i cofondatori del PdL si facessero male”, per poi passare in rassegna, regione per regione, come le liti tra ex-AN ed ex-FI stiano pregiudicando un buon risultato elettorale. Il Giornale invece pubblica un editoriale di Paolo del Debbio dal titolo inequivocabile “Adesso il Cavaliere dia una sveglia al Pdl”. Finalmente si registrano i primi commenti dei colonnelli del Pdl, di provata fede berlusconiana, Gasparri, Cicchitto e Quagliarello (sulla falsariga di quelli che la Polverini ha fatto in solitaria per due lunghissimi giorni) ed il primo commento di Berlusconi che si dice fiducioso delle decisioni che prenderà il Tar. Nel frattempo giunge la notizia che sono state riscontrate irregolarità anche nel listino della Polverini per la mancata firma di un rappresentante di lista e dal Pdl si comincia a parlare di “candidatura a rischio”.

Il maggiore rigore che in questa competizione elettorale si sta riservando al controllo dei requisiti e dei tempo necessari per la presentazione delle liste è probabilmente da ricollegare all’insolito ruolo da protagonisti che i Radicali stanno giocando grazie alla candidatura di Emma Bonino alla Presidenza della Regione Lazio sostenuta da tutto il centro-sinistra. Sensibili al tema, convinti che da qui passi lo stato di salute della democrazia italiana, i Radicali hanno sempre denunciato irregolarità e superficialità di entrambi gli schieramenti in merito a questa questione. Ma questa motivazione sembra davvero poca cosa per spiegarci quanto sta accadendo senza porci neanche un interrogativo.

A meno che non vogliamo davvero credere alla favola del panino, di un ufficio elettorale cattivo o al servizio del Pd, o di misteriosi militanti radicali sdraiatisi tra i responsabili del Pdl e l’ingresso dell’ufficio elettorale, è d’obbligo, in virtù dei fatti riassunti, delle parole dette e di quelle non dette, farsi alcune domande.

Tutto casuale? Casuale che ad uno con i precedenti di Milioni sia stata affidata la presentazione della lista? Casuale che Il Giornale denunci il rischio che i finiani prendano il controllo del Pdl ed estromettano Berlusconi il giorno stesso che la lista del Pdl viene respinta? Casuale che questa vicenda offra la sponda per un attacco alla gestione unitaria del Pdl e che quest’attacco si concretizzi subito ed all’unisono? Casuale che questa volta, in una vicenda che rischia seriamente di consegnare la Regione Lazio al centro-sinistra, condizionando pesantemente l’esito delle elezioni regionali nel loro complesso, ci sia stato per più di due giorni il silenzio dello stato maggiore del Pdl e la sua assenza alle manifestazioni indette dalla Polverini? Casuale che tutto ciò sia successo nel Lazio, dove è in campo Renata Polverini, imposta a Berlusconi, vicina al grande oppositore interno Fini, attaccata pesantemente dai giornali di famiglia?

Per rispondere in maniera completa a questi quesiti collochiamo in ultimo la vicenda all’interno della partita delle regionali ed al significato che queste hanno all’interno del momento politico che stiamo vivendo.

Sia che la vicenda si risolva positivamente per il Pdl (con la riammissione delle liste da parte del Tar o con un’improbabile legge straordinaria di cui si faccia promotore la parte del Pdl più vicina a Berlusconi) sia che si risolva negativamente, il capro espiatorio del misfatto è già stato trovato ed il repulisti che si preannuncia nel Pdl finirà col consegnare ancora più potere a Berlusconi ed a zittire il dissenso interno. Con un Pdl sempre più orfano di un progetto di governo e di paese, ed un Berlusconi incapace di accettare la sua parabola discendente e sempre più attaccato al potere ed al consenso a breve termine, la partita in gioco alle regionali è tutta sul fronte del centro-destra, tra chi guadagna più o meno posizioni da far pesare all’indomani sul tavolo del governo nazionale. Le elezioni politiche sono infatti lontane ed un centro-sinistra in crisi che guadagna qualche posizione sarebbe sicuramente per Berlusconi un problema minore rispetto agli alleati che in parlamento possano fare la voce grossa in virtù dei risultati elettorali, costringendolo a trattare con loro, cedere su alcune questioni ed appannare così la sua immagine. Che la prima preoccupazione di Berlusconi sia questa lo sanno tutti: fiducioso nelle sue capacità, sa per esperienza che se avrà le mani libere potrà recuperare nei prossimi tre anni di governo i consensi che oggivanno a finire nel centro-sinistra. Sa invece altrettanto bene di dover temere che gli alleati possano tenergliele legate. Al nord si gioca la partita con la Lega che già si preannuncia una disfatta per il Pdl (in Veneto si parla addirittura di un 15% di vantaggio della Lega sul Pdl); in Lazio e Calabria la sfida è con la componente ex-AN e con l’Udc e fino a ieri anche qui sembrava prevalere la fazione opposta a Berlusconi. La vicenda del Lazio rimescola completamente le carte. E’ un caso?

Scuola Pubblica e laicità: il libro di Leo Palmisano

Un libro tenta di fare luce su questo rapporto

da barilive.it 1/03/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16499

La laicità della scuola pubblica italiana è uno di quei temi lungamente assenti dal dibattito pubblico, ma capaci di fronte ad un pronunciamento della corte costituzionale, all’iniziativa di qualche docente o dirigente scolastico, alle rimostranze di famiglie o gruppi di studenti, di riemergere suscitando violente polemiche per poi sparire altrettanto rapidamente.

Regolato dal Concordato del 1984, l’Irc (Insegnamento della religione cattolica) è impartito in tutte le scuole pubbliche italiane (2 ore settimanali nella scuola primaria ed una in quella secondaria) da insegnanti nominati con parere vincolante della diocesi che può esprimersi anche su programmi e testi in adozione (l’onere finanziario è invece a carico dello Stato). Lo stesso Concordato garantisce anche “a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento” ed a tal fine le scuole dovrebbero garantire l’organizzazione di attività alternative per chi decide di disertare l’Irc.

Tra il 2005 ed il 2007 si è svolta un’indagine qualitativa in merito alle scelte e le esperienze di genitori non cattolici (in quattro regioni italiane: Basilicata, Liguria, Piemonte e Puglia) posti di fronte alla scelta se far partecipare o no i propri figli all’Irc. Promotori dell’indagine sono stati diversi soggetti (Flc, Cgil, Federazione delle Chiese evangeliche delle regione suddette, l’associazione “articolo 31”, la Tavola Valdese etc,) che ne hanno affidato la curatela scientifica al giovane sociologo barese Leonardo Palmisano. E’ da pochi mesi nelle librerie il libro “Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di una ricerca”, (Claudiana, Torino 2009) che ne raccoglie i risultati, insieme agli interventi di un convegno sul tema svoltosi a Savona nel 2008.

Il quadro che emerge da tale indagine mette in evidenza la superficialità con la quale le scuole italiane affrontano la questione trascurando la corretta informazione da trasmettere alle famiglie, disertando l’organizzazione delle attività alternative (dovendo far fronte ai continui tagli ed alla mancanza di risorse) e affrontando l’Irc senza il dovuto rigore didattico. A questo è da aggiungere che il timore delle famiglie (soprattutto quelle di immigrati) di facilitare con la decisione di non avvalersi dell’Irc fenomeni di emarginazione dei propri figli, non trova nella scuola alcuna garanzia che invece permetta una scelta serena.

In questi ultimi decenni la trasformazione in chiave sempre più multi-etnica della società è stata accompagnata da una crescente ondata di razzismo e dal richiamo alle radici culturali e religiose provenienti sia dalle gerarchie ecclesiastiche che da forze politiche di ispirazione abbondantemente pagana. L’onere dell’integrazione, lontano dai riflettori e dall’attenzione della politica, è stato lasciato ad una scuola pubblica dilaniata da tagli e da progetti di riforma incompiuti, in balia di campagne ideologiche e ingerenze private, cioè alla buona volontà di singoli presidi ed insegnanti. In questo contesto la superficialità con la quale viene affrontata la questione dell’Irc è purtroppo un’ulteriore conferma del cattivo stato di salute della nostra scuola e quindi della nostra democrazia.

Una giornata senza immigrati?

L'espediente narrativo che smaschera la retorica xenofoba

da barilive.it 13/02/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16322

In un’Italia in cui il dibattito pubblico in materia di immigrazione langue e si limita ad arruolare grotteschi eserciti di favorevoli e contrari, è comparso da qualche settimana un libro che prova a fare un po’ di chiarezza sul tema. Il suo titolo è emblematico, “Blacks out. 20 marzo, ore 00.01. Un giorno senza immigrati”, ed a scriverlo è Vladimiro Polchi, giovane cronista de “La Repubblica” che è stato a Bari per discuterne presso la libreria “Laterza”.
L’autore ha provato ad immaginare cosa succederebbe in Italia se per ventiquattr’ore sparissero gli immigrati costringendo così l’intero paese alla paralisi. Questo stratagemma narrativo, a detta dell’autore, è nato dalla volontà di far avvicinare al tema un vasto pubblico mettendo in evidenza il ruolo che gli immigrati giocano nel muovere la nostra economia; ruolo che in cifre si traduce nella produzione del 10% del PIL, ed in 6 miliardi di euro di tasse pagate all’anno. E’ curioso come gran parte dei prodotti del tanto celebrato “made in Italy” (ad esempio il prosciutto di Parma, il Parmigiano reggiano, i vini più pregiati etc.) non esisterebbero più senza il contributo della manodopera dai lavoratori extra-comunitari.
Il dibattito, ravvivato dalle presenze di Giuliano Foschini e Don Angelo Cassano, si è poi spostato sul modo attraverso il quale l’Italia affronta la questione dell’immigrazione, fatto dell’assenza di un modello di integrazione, di strutture e politiche che garantiscano la seconda accoglienza per i richiedenti asilo, da leggi che impediscono la regolarizzazione della posizione degli immigrati e da un iter burocratico che allontana e complica la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno. Nell’analisi proposta dall’autore ciò è da attribuire oltre che all’opportunismo politico di chi sfrutta elettoralmente le paure della gente nei confronti del diverso anche all’impreparazione italiana di fronte ad un fenomeno sconosciuto in questa ampiezza fino a pochi anni fa.
Nell’impoverimento del dibattito politico degli ultimi vent’anni, in assenza di grandi progetti capaci di porre al proprio centro la solidarietà sociale e l’uguaglianza, l’attenzione dell’opinione pubblica è progressivamente scivolata sulla difesa del “privato”; non è un caso che il tema della sicurezza insieme a quello della deregolamentazione e dello smantellamento di qualunque vincolo solidaristico siano diventati i temi di dibattito prevalenti in occasione di ogni scadenza elettorale. La modalità con la quale il lavoro di Vladimiro Polchi affronta il tema dell’immigrazione contribuisce sicuramente a restituirgli la complessità e l’umanità che gli spetta e va considerato come una tappa di un più ampio percorso di smascheramento della retorica insita nella celebrazione del privato e di ricostruzione di un vocabolario collettivo.

Se a parlare di Shoa è la poesia

"Farfalle di spine" si aggiunge al già popolatissimo scaffale dedciato al genocidio degli Ebrei

da barilive.it 21/01/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=16048


Era il Luglio del 2000 quando il Parlamento italiano, per ricordare le vittime dell'Olocausto e dei totalitarismi nazi-fascisti, votò a favore dell'istituzione della Giornata della Memoria il 27 Gennaio di ogni anno, celebrando in questo modo la data in cui nel 1945 furono aperti i cancelli di Auschwitz dalle truppe dell'esercito sovietico. A distanza di oltre 50 anni da quella tragica scoperta si intendeva con questa iniziativa rafforzare la memoria condivisa di quanto accaduto contemporaneamente al venir meno della quasi totalità dei testimoni diretti.

Da allora il 27 Gennaio chi si celebra nelle scuole, nelle associazioni ed in ogni ambito della vita pubblica il dramma della Shoa, trovandocisi a dover fare i conti con la necessità di custodirne e tramandarne la memoria e contemporaneamente quella di sottrarne il racconto alla banalizzazione di una ritualità istituzionalizzata.

Un contributo in questa direzione proviene quest'anno da un'antologia di testi poetici di testimoni diretti ed indiretti dell'Olocausto, presentata nel Salone degli Affreschi dell' Università degli Studi di Bari ed intitolata “Farfalle di spine. Poesie sulla Shoa”. Si tratta di un volume curato da Valeria Traversi ed edito dall'editore barese Palomar di Alternative, contenente testi di Levi, Auslander, Bruck, Celan, Weiss, Brecht, Pasolini ed altri testimoni e poeti.

Nella radice del volume vi è l'idea che l'arte abbia il pregio di restituire verità e umanità agli eventi narrati, sottraendoli a qualunque forma di banalizzazione. A sottolinearlo è stata proprio l'autrice che, nella presentazione, ha parlato dell'utilità della poesia come custode di una memoria che non si limiti ad enumerare il cumulo delle vittime, ma che invece si proponga di "creare un'identificazione umana", che ci ricordi che il dramma dei campi di concentramento e della soluzione finale ci riguardano in quanto siamo esseri umani.

Più volte proposta dall'autrice e condivisa da Pasquale Voza e Giuseppe Farese (che con lei hanno interloquito) è stata l'idea che l'Olocausto non debba essere uno strumento dell'arte, quasi una sua musa ispiratrice, ma che sia l'arte stessa a dover diventare strumento di memoria rivolgendosi al futuro. Forse è proprio questo lo spirito col quale dovremmo apprestarci a vivere l'imminente Giornata della Memoria: non la celebrazione di una dolorosa reliquia del passato, ma un'occasione per riflettere, forti della sua conoscenza e della sua consapevolezza, sul presente che stiamo vivendo e sul futuro che stiamo costruendo.

La presentazione si è conclusa con la lettura di alcuni brani poetici antologizzati curata dall'attrice Ermelinda Nasuto del Teatro “Le Forche” e dall'esecuzione di brani musicali composti nei campi di concentramento ad opera del Maestro violinista Luigi Zonni.

Il silenzio degli intellettuali in una società che cambia

Asor Rosa ha presentato il suo libro “Il grande silenzio” in libreria Laterza

da barilive.it 15/01/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=15973

Appuntamento di gran rilievo ieri sera in Laterza con la presentazione del libro-intervista “Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali” di Alberto Asor Rosa, noto critico letterario e protagonista del dibattito culturale e politico italiano dell’ultimo cinquantennio.
Il tema, apparentemente ozioso ed accademico, si è rivelato nel corso dell’incontro portatore di numerosi interrogativi circa i nostri tempi, i cambiamenti in atto nella nostra società e lo stato di salute delle democrazie occidentali. Non a caso Alessandro Laterza, nell’introdurre l’autore e Simonetta Fiori (autrice dell’intervista), ha sottolineato come il concetto di “scena politico-culturale”, terreno proprio degli intellettuali, non è più da considerarsi scontato.
Sollecitato dalla domande di Simonetta Fiori, l’autore ha proposto una ricostruzione storica che rifugge dalle classiche semplificazioni in uso in qualunque discorso riguardi gli intellettuali, configurandosi invece come un “ragionamento critico ma non lamentoso”. La sua ricostruzione è partita dagli inizi della modernità, da quella metà del XVIII secolo, quando “in Francia un gruppo sociale (la borghesia, nda) decide di orientare i mutamenti del mondo circostante”. Contestuale all’avvento al potere di questa classe è la nascita di una “tribù inquieta”, un gruppo di specialisti che decide di oltrepassare i confini epistemologici delle singole discipline e dedicare la propria attenzione alla società ed alla convivenza civile. Oggi invece, le trasformazioni in atto (globalizzazione e fine delle grandi ideologie su tutte) stanno invece decretando la sparizione di queste figure insieme a quella classe sociale cui erano legate.
La riflessione sulla storia degli intellettuali ha assunto poi tutt’altri toni quando si è parlato della storia italiana dal dopo-guerra ad oggi, storia di cui Asor Rosa è stato protagonista e testimone diretto: parlandone questi ha individuato negli anni ’80 l’inizio di una involuzione nel livello del dibattito pubblico e nei processi di alfabetizzazione che non ha conosciuto tregua fino ai giorni nostri, travolgendo ogni argine che gli si sia frapposto (democrazia e costituzione inclusi), culminando nel potere berlusconiano.
A chi ha obiettato, durante il dibattito, che l’analisi proposta sia stata eccessivamente pessimista, Asor Rosa ha delineato degli elementi di speranza: su tutti la scuola e l’università, due istituzioni fatte di luci ed ombre, che però non sono state permeate da questi processi involutivi e che oggi, insieme alla magistratura, costituiscono l’unica speranza di una “nuova resistenza”.
Una speranza infine l’autore l’ha riposta anche nei giovani. Il riferimento apparentemente scontato, lo è di meno conoscendo la storia intellettuale di Asor Rosa, le sue polemiche con il movimento studentesco e con tutta la sinistra di movimento. Egli stesso non ha nascosto questa sua diffidenza, ritenendo però che la fuoriuscita dall’attuale stato di cose avverrà solo attraverso una “frattura” operata dalle giovani generazioni. Con una discrezione che raramente si addice alla sua generazione, Asor Rosa ha chiuso il dibattito auspicando questa frattura, senza sollecitarla o prevederne i tempi, senza pretendere più o meno consciamente di assegnare compiti e destini alle giovani generazioni. Visti i tempi, non è poco.