venerdì 9 luglio 2010

Cassano, D’Alema e Reichlin a confronto sulla crisi della politica

Occasione del confronto la presentazione del libro di Alfredo Reichlin “Il midollo del leone”.

da barilive.it 9/7/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=17834

Ieri pomeriggio presso la libreria Laterza si è svolta la presentazione del volume “Il midollo del leone” di Alfredo Reichlin, politico italiano di lungo corso, storico esponente del PCI oggi nel Partito Democratico. Quello di Reichlin a Bari è stato un ritorno: in passato quando si avvicinò alle posizioni della minoranza ingraiana ed entrò in attrito con la dirigenza del Partito venne diplomaticamente esiliato in Puglia a ricoprire il ruolo di segretario regionale. Qui ebbe modo di conoscere la nascente Ecole barisienne per la quale divenne un interlocutore privilegiato all’interno di quel PCI nei confronti del quale quei giovani intellettuali meridionali erano molto critici.
A discutere con lui del libro c’erano Franco Cassano, uno di quei giovani intellettuali, e Massimo D’Alema che circa vent’anni dopo Reichlin venne anch’egli spedito in Puglia come segretario regionale. La riflessione sulla crisi della politica e della sinistra, temi trattati dal testo di Reichlin, si è non a caso spesso intrecciata con i ricordi dei tre partecipanti al dibattito.

Franco Cassano ha aperto la discussione ponendo in evidenza la sproporzione delle forze in campo tra la politica e l’economia impostasi negli ultimi decenni. Per farlo ha impiegato una metafora calcistica dicendo che “prima la politica giocava in casa, ora gioca in casa dell’economia” e che quindi la crisi della sinistra non va letta solo nei termini di allentamento della tensione morale ma anche in quelli di un cambiamento strutturale delle forze in campo. La questione centrale per il dibattito politico a sinistra oggi, ha detto Cassano, dovrebbe essere incentrata intorno a quelle che, con un’espressione antica, vengono definite le “forze motrici della storia”, quelle capaci di rovesciare il fattore campo nel rapporto economia-politica rimettendo al centro il tema dei bisogni.

Il dibattito si è poi acceso tra D’Alema e Reichlin; riportare la totalità degli argomenti toccati è davvero impossibile. Entrambi esponenti di punta del partito democratico e sostenitori di Bersani all’ultimo congresso, hanno (soprattutto per merito di Reichlin che è intervenuto per secondo ed ha quindi potuto replicare) discusso a viso aperto proponendo due diverse visioni della situazione politica italiana. Se D’Alema ha posto l’accento sulla continuità tra la crisi delle forze progressiste in Italia e quella delle forze progressiste europee motivandola come crisi di sistema (in contrapposizione alla parte restante del pianeta in cui i progressisti guidano grandi processi emancipativi), Reichlin senza minimizzare il cambiamento di scenario internazione avvenuto nell’ultimo trentennio (ha non a caso citato le politiche di Ronald Regan e Margaret Tatcher dicendo che della loro rivoluzione la sinistra non ha ancora preso le misure) ha evidenziato la discontinuità con la situazione italiana. Il suo intervento è cominciato dicendo “non riesco a ridimensionare la crisi italiana”. Reichlin è stato non a caso il primo a pronunciare il nome di Berlusconi, dicendo che è imparagonabile il livello di analisi e di studio che gli esponenti del PCI avevano raggiunto negli anni ’30 in merito al fascismo con quello che oggi la sinistra italiana sta producendo in merito al berlusconismo.

giovedì 8 luglio 2010

Immigrazione e diritti: Nichi Vendola dialoga con don Sciortino

Ieri a Bari la presentazione del volume "Anche voi foste stranieri" alla libreria Laterza
da barilive.it 8/7/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=17828


Si è svolta ieri pomeriggio presso la libreria Laterza la presentazione del testo “Anche voi foste stranieri” di Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana. I temi del libro e della presentazione erano stati il giorno precedente ampiamente discussi dallo stesso Don Sciortino in un'ampia e generosa intervista che ci ha concesso.
Il dibattito è stato aperto dall’introduzione di Alessandro Laterza che ha elogiato il libro in quanto tentativo di “raccontare il tema dell’immigrazione come un pezzo della nostra società”. Don Sciortino nel suo intervento ha parlato dei mass media e del loro modo di raccontare il fenomeno migratorio non favorendo pratiche di accoglienza ma sentimenti di razzismo; della posizione che la Chiesa cattolica deve avere a riguardo tornando ad essere profetica non piegandosi su se stessa nella difesa dei propri simboli e della propria identità. Citando il Cardinal Dionigi Tettamanzi ha detto che “innalzando muri non teniamo fuori gli altri, ma rendiamo prigionieri noi stessi”. Obiettivo polemico è stato anche il mancato riconoscimento della cittadinanza per quegli immigrati con i quali invece i bambini italiani condividono o hanno condiviso la culla, il banco di scuola e che parlano un italiano (e talvolta anche un dialetto) perfetto. Queste forme di discriminazione, se declinate nei termini del mancato diritto di voto per chi vive, lavora, paga i contributi ed ama l’Italia, appare ancora più paradossale se paragonata al diritto di voto che è stato concesso agli italiani all’estero: individui che talvolta hanno reciso ogni contatto con l’Italia, spesso non parlano più l’italiano e magari non hanno mai versato contributi allo stato italiano.
L’appassionato intervento di Vendola , che ha ringraziato Don Sciortino per l’occasione di discussione offertagli, ha rimarcato la necessità di pensare al welfare che l’Occidente ha costruito nell’ultimo secolo storicizzandolo e pensandolo come nato senza tutele per le donne, viste come “oggetto di assistenza e non come soggetto di libertà”, e per i migranti, visti come “problema e non come risorsa”. Rispondendo ad una domanda rivolta a Don Sciortino dall’uditorio in merito al primo comandamento (“non avrai altro Dio all’infuori di me”) ed a quanto questo sia in contraddizione con lo spirito di accoglienza, Vendola ha invece evidenziato la portata rivoluzionaria dello stesso in quanto monito a non divinizzare le cose e le persone ed a relativizzarne il potere.
Durante il dibattito è stato citato due volte da Don Sciortino il nome del Presidente della Camera Gianfranco Fini (una volta in quanto partecipante al "Patto di Capodarco" ed un’altra in quanto padrone di casa nella presentazione del testo tenutasi alla Camera). Di fronte ad una nostra domanda se egli ritenesse affidabile come interlocutore sul tema dell’immigrazione chi come Fini ha firmato una delle leggi più razziste dell’Occidente in materia ed in passato non è stato esente da responsabilità in merito all’imbarbarimento del dibattito pubblico sugli immigrati (vedi la vicenda datata 2007 dello stupro della Reggiani e della conferenza stampa tenuta sul luogo dello stupro a poche ore di distanza), Don Sciortino ha dapprima evitato di rispondere, poi ulteriormente sollecitato da Alessandro Laterza ha posto come priorità la necessità di coinvolgere tutti sul tema dell’accoglienza. Vendola ha invece preferito non esprimersi.

mercoledì 7 luglio 2010

“Il futuro sarà a colori” – Intervista a Don Antonio Sciortino

Immigrazione, politica e società al centro della riflessione del direttore di Famiglia Cristiana
da barilive.it 7/7/10 - http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=17812


Don Antonio Sciortino è da undici anni direttore del periodico Famiglia Cristiana. La sua direzione si è fino ad oggi contraddistinta da una grande attenzione rivolta all’attualità politica. Oggi pomeriggio alle 18 sarà a Bari per presentare presso la libreria Laterza il suo ultimo libro “Anche voi foste stranieri. L’immigrazione, la Chiesa e la società italiana”. Ecco in anteprima i temi caldi della connversazione in Laterza.

Cominciamo dal titolo del suo libro “Anche voi foste stranieri”, che si riferisce all’esperienza di milioni di italiani emigrati durante il ‘900. Perché nell’Italia di oggi c’è un difetto di memoria storica nel ricordare questa pagina così dolorosa e dignitosa allo stesso tempo?
Il titolo del libro fa riferimento a un versetto della Bibbia (Dt 10,19), che per esteso recita: “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”. Gli ebrei tornati in patria dopo gli anni di schiavitù sotto il Faraone erano invitati a far tesoro di quell’esperienza e trattare bene gli stranieri che vivevano in mezzo a loro. Stesso appello dovrebbe valere per l’Italia d’oggi, che sembra aver perso la memoria. Da terra di emigrazione, siamo diventati terra d’approdo per migliaia di stranieri che cercano sul nostro territorio una speranza di futuro per sé stessi e i propri familiari come facevano i nostri genitori e nonni, trattati male allora, così come noi oggi facciamo con gli immigrati. Ad essi, ad esempio, rendiamo difficile la vita, a cominciare dal ricongiungimento familiare che per loro è peggio di una impegnativa corsa a ostacoli. Eppure non possiamo più fare a meno della loro presenza e del loro lavoro, ma dimentichiamo che sono persone con diritti universali inalienabili. Con la scusa della sicurezza, enfatizzata dai media e dalle forze politiche che speculano sulle pelle degli stranieri per ottenere consensi, abbiamo messo in campo una politica dell’esclusione e dell’indesiderabilità, invece di governare il fenomeno migratorio, che è sì una “scomodità”, ma una scomodità che ci aiuta a crescere. Gli stranieri sono una risorsa anche demografica, per un paese quale l’Italia che ha il più basso tasso di natalità al mondo, e che se non inverte la rotta si avvia a un vero e proprio suicidio. L’Italia si sta ripiegando su se stessa, è sempre più egoista, a difesa del proprio benessere da non condividere con altri. Alla politica dei muri va contrapposta una politica dei ponti e della condivisione. Anche perché il fenomeno immigrazione non è più questione di scelta: è già radicato nella realtà. In Italia vivono più di quattro milioni e mezzo di stranieri. La politica dello struzzo non rende, è un terribile boomerang che ci tornerà addosso.

Non ritiene che nel rifiuto di accogliere gli immigrati occorra leggere un malessere sociale più ampio dovuto ai fenomeni di precarizzazione che abbiamo conosciuto nell’ultimo ventennio ed all’incertezza generalizzata portata dalla globalizzazione?
Gli stranieri spesso sono usati come “capro espiatorio” di tanti nostri malesseri. Occorre, però, sfatare tanti luoghi comuni e stereotipi, a cominciare dal dire che portano via il lavoro agli italiani. Nulla di più falso. Sono presenti in settori disertati dai nostri connazionali. Se gli stranieri, dalla sera al mattino, sparissero (come alcuni si augurerebbero), l’Italia sarebbe un paese in ginocchio, in tutti i settori dell’economia e dei servizi. Non starebbe in piedi un solo istante. Il dieci per cento della nostra ricchezza (Pil) è fatto dal loro lavoro. E le nostre pensioni sono pagate, in parte, dai loro contributi. In questo, danno molto di più di quanto ricevono, poiché sono popolazione molto giovane. Anche per la sicurezza va combattuta la convinzione, alimentata da una cattiva informazione, che ritiene ogni straniero un delinquente. È stato detto: “Un clandestino senza lavoro naturalmente delinque”. Gli stranieri non delinquono più di quanto non facciano i nostri connazionali, anche se la percezione è totalmente diversa. Come ricordava Giovanni Paolo II “quando una nazione ha il coraggio di aprirsi alle migrazioni, viene premiata da un accresciuto benessere, da un solido rinnovamento sociale e da una vigorosa spinta verso inediti traguardi economici e umani”. Una malintesa globalizzazione può renderci vicini, ma non fratelli. Oltre alle merci, vanno fatte girare le persone. E soprattutto la solidarietà, per una distribuzione più equa dei beni della terra. Altrimenti, come ricordava Paolo VI, prima o poi, “i popoli della fame” verranno a bussare alla nostra porta.

Nel suo libro lei parla di uno scontro di civiltà tutto interno all’Occidente imperniato attorno al tema dell’accoglienza della persona straniera. Non crede che parte della Chiesa cattolica quando insiste sulle radici cristiane d’Europa, quando si schiera contro la costruzione di luoghi di culto di altre religioni sul nostro territorio, quando fa le barricate sulla presenza del crocifisso nelle aule rischia di posizionarsi dalla parte sbagliata?
La religione non va mai strumentalizzata, in alcun modo. Il diritto alla preghiera è un diritto inalienabile, legato alla persona umana prima ancora che al cittadino. Così come è necessario un luogo di culto, anche se si può e si deve discutere dove costruirlo. Usare il crocifisso per darlo in testa a chi ha una fede diversa dalla nostra è tradire davvero il significato di amore universale che esso rappresenta. Spesso facciamo la battaglia del crocifisso per difendere un arredo nelle aule pubbliche dimenticando che quelle braccia aperte includono e non escludono nessuno. La stessa rivendicazione delle radici cristiane, se fatta in chiave di rivendicazione e opposizione, è quanto mai deleteria. Le religioni, se sono vere e non forme degenerate ed estremiste, difendono la vita, portano al dialogo, alla pace e alla costruzione di un mondo migliore. L’aveva ben compreso Giovanni Paolo II, nel 1986, quando convocò ad Assisi i capi di tutte le religioni per pregare per la pace. Non confondiamo allora il vero credente con chi strumentalizza la religione per usi politici e passa allegramente dall’essere un fedele del dio Po e dei riti celtici a paladino della cristianità.

Per concludere, secondo lei l’Italia è un paese razzista?
Oggi c’è chi soffia tanto sul fuoco e alimenta sentimenti di intolleranza, xenofobia e di vero e proprio razzismo. Ormai non si contano più i provvedimenti, a livello nazionale e locale, tesi a discriminare chi ha il colore della pelle diversa, una provenienza da altre nazioni e un differente credo. È per questo che non si capisce perché rendiamo così difficile la cittadinanza a figli di stranieri di seconda e terza generazione che sono nati in Italia, parlano bene la nostra lingua (se non addirittura i dialetti), amano il paese dove vogliono vivere, e dove i loro genitori pagano pure le tasse. L’Italia, se vuole avere un futuro, deve poterlo programmare non a prescindere, ma a partire dagli stranieri che sono in mezzo a noi, cominciando a considerarli una risorsa e non un problema. Il futuro sarà a colori e la società arcobaleno non potrà che stupirci. In meglio, naturalmente. A patto di adottare una politica più umana e civile. Nella sicurezza e nell’accoglienza.