martedì 17 maggio 2011

Sono anche elezioni amministrative

Due giorni fa Natalia Aspesi su La Repubblica ha scritto:


Poiché gli italiani non possono mai occuparsi di se stessi, dei loro problemi, della loro vita, e nel caso dei milanesi, della disoccupazione, della mancanza di case, delle strade dissestate, della sicurezza in periferia, della solitudine che attanaglia tutti, ma solo del premier, soprattutto questa volta non sono chiamati a decidere se questo sindaco ha amministrato bene, o come capita ovunque esista la democrazia, si può provare a cambiare. Noi disgraziati cittadini siamo chiamati a votare soprattutto pro o contro la magistratura, pro o contro il premier. Ci derubano della nostra città, della nostra quotidianità, di noi stessi. Non contiamo nulla.”



È uno sfogo che condivido integralmente con l'aggiunta che, purtroppo, da questa situazione ci siamo fatti prendere la mano anche a sinistra, leggendo ogni passaggio della vita politica italiana solo ed esclusivamente come un accrescimento del consenso e del potere di Silvio Berlusconi o come la possibilità di liberarcene, dimenticandoci che la realtà è un po' più complessa di questo schema binario che rispecchia integralmente la situazione disperata del nostro paese.

Questa tornata elettorale mi ha appassionata da subito pur non essendone coinvolto direttamente: le grandi città dove si vota sembrano essersi date appuntamento per celebrare insieme un importante crocevia delle loro storie. Sono passati ormai 18 anni dall'entrata in vigore di una legge elettorale che conferendo il mandato di sindaco direttamente nelle urne e prevedendo il doppio turno ha profondamente rinnovato le classi dirigenti delle città, talvolta con delle brusche virate, costruendo delle grandi leadeship o demolendole alla velocità della luce. Una lunga linea di continuità all'interno di queste storie sembra nella maggior parte dei casi esser giunta al capolinea in queste elezioni, o quantomeno sembra vacillare.

Milano è il caso più eclatante: nella città di Piazza Affari e di Mediaset, capitale del berlusconismo e della Lega, il centro-destra è in affanno a causa dell'opacità dell'attività amministrativa di Letizia Moratti e dell'entusiasmo che invece il centro-sinistra sembra aver ritrovato dopo aver abbandonato un complesso di inferiorità che l'aveva sempre portato a prediligere candidature e proposte non ostili all'egemonia berlusconian-leghista. Per ben 4 tornate elettorali (1 Formentini, 2 Albertini ed 1 Moratti) non c'è stata storia, ora il centro-destra che ha egemonizzato la città a suon di affari e xenofobia subisce la freddezza di un elettorato che non si fida più.


A Torino sembra profilarsi l'esito più scontato, principalmente in ragione di una candidatura proposta dal centro-destra che pare più un atto di testimonianza che altro. Rimane però un appuntamento interessante nella città operaia per eccellenza il confronto del centro-sinistra con il proprio elettorato a breve distanza dalla vicenda del referendum di Mirafiori, ancor più perché il candidato sindaco, Fassino, tenne un atteggiamento molto deciso nell'appoggiare il piano di Marchionne provocando le ire di parte del mondo operaio e della sinistra (soprattutto ma non solo torinese). La vittoria elettorale di Cota l'anno scorso rende ancor più interessante assistere a che atteggiamento la città, che nella maggioranza votò per la Bresso, ha a distanza di un anno nei confronti del governatore e della Lega.

In una recente puntata di Report si è parlato di Bologna come del crollo di un modello di buongoverno: l'ingloriosa esperienza di Del Bono e la difficoltà riscontrata dal centro-sinistra nel trovare una leadership credibile sono emblematiche dello stato di salute della città. Alle primarie ha prevalso il gaffeur Virginio Merola su Amelia Frascaroli (sostenuta da Vendola e Prodi). La sua vittoria al primo turno appare possibile ma l'entusiamo della base è scarso: appaino infatti lontani i tempi in cui la classe dirigente emiliana e quelle esperienze di governo locale erano viste come un punto di riferimento ed una speranza per la sinistra di tutto il paese. Il Pdl, dopo tante tribolazioni, ha accetto di sostenere Manes Bernardini (Lega nord). Arrivare al ballottaggio sarebbe un successo, ma al di là di come vadano le elezioni prosegue l'avanzata della Lega in Emilia e la candidatura di Bernardini è un ulteriore tassello per la costruzione di una classe dirigente presente sul territorio.

A Napoli il momento di rottura è ancora più evidente: esce di scena Rosa Russo Jervolino che era succeduta (rivendicandone la continuità) ad Antonio Bassolino. Insieme hanno governato la città per 18 anni, cominciati suscitando grandi speranze e costruendo l'immagine di un Sud che combatte il malaffare e imbocca lo sviluppo. Escono di scena tra immondizia e insulti. Il centro-destra attorno a Gianni Lettieri ha raccolto alcuni pezzi di quella classe dirigente tuonando contro la quale ha costruito i successi elettorali delle provinciali del 2009, delle regionali del 2010 (ed in parte anche delle politiche del 2008). Il centro-sinistra, dopo la figuraccia delle primarie si presenta spaccato: il Pd e Sel candidano l'ex-prefetto Morcone e l'Idv con la Fds candida Antonio De Magistris. Qualche mese fa, visti anche i precedenti delle provinciali e delle regionali, la vittoria del centro-destra al primo turno appariva scontata, ancor più in presenza di un centro-sinistra spaccato. L'ipotesi di una candidatura di De Magistris sembrava lontanissima dall'essere qualcosa di diverso da un atto di testimonianza, della serie 'esiste un altro centro-sinistra'. A campagna elettorale iniziata lo scenario si è rivelato molto diverso: Lettieri lontano dal 50% e un secondo posto al ballottaggio in bilico tra Morcone e De Magistris con il primo in vantaggio solo di poco. È difficile persino immaginare cosa succederebbe se, ipotesi non impossibile, l'ex-magistrato dovesse diventare sindaco contro il centro-destra di Cosentino ma anche contro lo stato maggiore del centro-sinistra tutto. Pesante e difficile da capire è stato il mancato appoggio alla sua candidatura del partito di Vendola, con il quale probabilmente ora sarebbe Morcone a rincorrere.



A Cagliari invece il centro-sinistra ha ritrovato l'unità attraverso le primarie proprio attorno ad un candidato vendoliano: il giovane consigliere regionale Massimo Zedda ha battuto alle primarie un pezzo da novanta del Pd, Antonello Cabras, da molti indicato come il mandante dello sgambetto che costò a Soru la fine della legislatura e la rielezione a governatore. Oggi Zedda guida tutta la coalizione contro un centro-destra che vince al primo turno e governa la città dal 1992. La partita, stando ai sondaggi, sembra aperta e questo per il centro-sinistra cagliaritano è già tanto.

Resta inoltre tutta da verificare la consistenza del terzo polo, la sua capacità di costruire una classe dirigente sul territorio, cosa molto più difficile che avere leadership televisive e carismatiche (come sono/sono state quelle di Fini e di Casini). Quanti dirigenti locali che pur condividevano le tesi di Fini quand'era ancora nel Pdl hanno deciso di seguirlo rinunciando aprioristicamente, almeno per questa tornata, a incarichi in giunta o di sottogoverno? A quali ceti, categorie professionali, figure Fli si appoggerà e parlerà?

Solo con la consapevolezza delle tante poste in palio, delle diverse speranze e delle tante frustrazioni ed ansie che si agitano nelle comunità che si recano alle urne è possibile riuscire a restituire della posta in palio un'immagine fedele e giusta. Dall'esito complessivo ne emergeranno anche delle conseguenze, forse molto rilevanti, per la politica nazionale. Ma non è giusto vederci solo questo: la dicotomia Berlusconi sì - Berlusconi no ci ha resi più pigri intellettualmente e meno curiosi, assolvendoci con l'idea che fare politica a sinistra significhi solo lavorare per liberarci di lui. Superarla è il primo modo per tornare padroni di noi stessi. Anche guardando a queste elezioni amministrative.

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da LINKREDULO di sabato 14/5/11 - http://www.linkredulo.it/politica/2072-sono-anche-elezioni-amministrative.html

mercoledì 11 maggio 2011

PRECARIO SARA' LEI! - Gli applausi di Bergamo sono un programma politico

Quando ho letto degli applausi ricevuti da Harald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp, al meeting di Confindustria tenutosi a Bergamo ho pensato di titolare la rubrica di questa settimana con una citazione dotta: “Hanno la faccia come il culo”, riprendendo una celeberrima copertina di Cuore di qualche anno fa.

Espenhan è stato recentemente condannato a 16 anni per omicidio volontario per l'incendio divampato nello stabilimento torinese della ThyssenKrupp del 6 dicembre 2007, quando persero la vita sette operai. Il tribunale ha ritenuto l'amministratore delegato consapevole e quindi colpevole dell'insicurezza delle linea su cui è scoppiato l'incendio.

Alla rabbia che cresceva istante dopo istante immaginando questa platea di manager che, privi di ogni senso del pudore, applaudivano le loro brame di denaro, è subentrata la consapevolezza di dover riflettere sull'accaduto.

La storia della ThyssenKrupp è la classica storia di un

colosso industriale nell'età globale. Inizia nel 1999 con una fusione tra la Thyssen Stahl AG e la Krupp Stahl AG: attraverso le fusioni più o meno forzate le corporations consolidano monopoli evitando la concorrenza che li costringerebbe a dover far ricorso alla ricerca scientifica, a prodotti innovativi e prezzi convenienti. Nello stabilimento di Torino, prossimo alla chiusura per trasferimento (altra prassi della governance aziendale nell'età globale) il 6 dicembre 2007, sulla linea 5 alcuni operai lavorano ininterrottamente da 12 ore (4 di straordinario), rimediando in proprio ai salari bassi frutto dell'impoverimento progressivo del reddito da lavoro che abbiamo conosciuto nell'ultimo trentennio. Le misure di sicurezza sono completamente ignorate, cosa che avverrebbe difficilmente in fabbrica se il sindacato fosse forte. Purtroppo però non siamo negli anni '60-'70, siamo nel 2007 e per una serie di fenomeni tra loro connessi (su tutti: diminuzione della domanda di lavoro in conseguenza delle innovazioni sul ciclo produttivo, enorme disponibilità di esercito di lavoro di riserva e finanziarizzazione del capitalismo industriale) il sindacato ha molto meno potere, molti meno iscritti e quindi molta meno voce. La normativa sulla sicurezza sul lavoro può così essere tranquillamente ignorata, ai lavoratori si possono assegnare turni che definire schiavistici non è un'esagerazione (ricordo che era il 1864 quando gli operai inglesi vinsero la battaglia per ottenere turni giornalieri di 10 ore!) essendo pressoché certi di farla franca. Per il capitale,d'altronde, farla franca accrescendo i profitti è la regola nei nostri tempi balordi.
Uno di loro però è incappato in uno di quei vecchi arnesi del diritto del lavoro cui non sono ancora riusciti a far fare la fine della contrattazione collettiva o a rendere inefficaci come l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il diritto di sciopero, le ferie ed i giorni di malattia retribuiti etc: la marcia trionfale cui si erano abituati da qualche decennio si è fermata bruscamente in qualche oggetto polveroso di cui non si danno pace.

Quegli applausi, lungi dall'essere uno sfogo di gioventù, sono un vero e proprio programma politico. Le conquiste passate, per chi non fosse ancora riuscito a capirlo nei decenni passati, sono revocabili in qualunque momento, non appena l'equilibrio delle forze in campo muta. E le forze in campo sono radicalmente mutate dagli anni '80 in poi a sfavore del lavoro. Le tutele ed i diritti conquistati in Italia con il sacrificio e la lotta del più grande movimento operaio d'Occidente sono state erose negli anni passati dalle politiche un centro-destra riunito attorno alla leadership forte di Berlusconi (perfetto eroe eponimo, in versione kitch, dell'epopea neo-liberista) e da un centro-sinistra che, non unico in Occidente, non ha compreso per tempo quanto epocale fosse la sconfitta inflittagli non dal crollo del muro di Berlino, ma dall'egemonia reganian-tatcheriana in voga dall'inizio degli anni '80. I 'faccia-come-il-culo' di Bergamo hanno sia sostenuto gli uni che legittimato gli altri. Oggi, che la crisi economico-finanziaria ha rimescolato le carte a sinistra e la leadership berlusconiana nel centro-destra è appannata e statica, si guardano attorno, alla ricerca di qualcuno che possa offrirgli garanzie e farsi interprete della loro epopea, svecchiandola e lanciandola verso nuove sfide.

Di quell'applauso dobbiamo ringraziarli: ce ne ricorderemo e glielo ricorderemo ogni qualvolta verranno a dirci di abbassare i toni, di 'non essere ideologici', che 'con la globalizzazione è finita la lotta di classe' (cit. Tremonti), che 'il conflitto sociale è vecchio è brutto', che 'reclamare diritti per i più poveri significa essere animati da invidia sociale' e che 'per vincere bisogna sfondare al centro', 'conquistare i moderati', 'dialogare con il mondo produttivo'.

A pensarci bene sono d'accordo con loro: al diavolo le ipocrisie. Che la lotta continui!


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da LINKREDULO di MERCOLEDÌ 11 MAGGIO 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/2056-precario-sara-lei-gli-applausi-di-bergamo-sono-un-programma-politico.html

mercoledì 4 maggio 2011

PRECARIO SARÀ LEI! – Il conflitto sociale all'epoca del Finanzcapitalismo

La precarietà delle condizioni materiali delle giovani generazioni dovute alla flessibilizzazione del mercato del lavoro è il luogo in cui il privato di ognuno entra in contatto e viene travolto da macro-questioni globali. È la classica faccenda del battito d’ali in una holding situata a Singapore che genera un ciclone in una famiglia della media borghesia barese. La pluralità dei battiti d’ali possibili con i quali la globalizzazione ha messo in contatto ogni individuo e la complessità del sistema all’interno dei quali questi interagiscono tra loro con una razionalità tutta da indagare contribuiscono non poco ad acuire la frustrazione delle vittime dei cicloni (finanziari, ecologici, politici etc.).

Il libro di Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, edito recentemente da Einaudi, aiuta a fare un po’ di chiarezza sul mondo in cui viviamo e su quali siano (e siano stati) i processi di ristrutturazione del capitalismo che ci hanno portato alla situazione attuale. Gallino non è nuovo ad analisi sul tema e la monumentalità dell’opera è tale che probabilmente ci tornerò nei prossimi articoli della rubrica.

In questo primo focus mi preme sottolineare il cambio di paradigma che Gallino suggerisce: quello del passaggio dal capitalismo industriale, fondato sulla “produzione di valore” al finanzcapitalismo, basato sull’“estrazione di valore”. Il passaggio è esemplificato dal superamento della forma triadica coniata da Marx D1 – M – D2 secondo la quale si investe denaro (manodopera + materie prime D1) per produrre della merce (M) e trarne un profitto superiore a quello investito (D2) alla formula diadica D1-D2, nella quale la crescita del denaro è dovuta esclusivamente ad operazioni speculative. Scrive Gallino: “il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro”. Tra i dati riportati vi è quello secondo il quale i cosiddetti “investitori istituzionali” (fondi pensione, fondi comuni di investimento e compagnie assicurative) detengono, in media, il 55% del capitale di tutte le società presenti in borsa, determinando con una quota così alta tutte le strategie di governance delle stesse. Fine di tali strategie non è quello di fare degli investimenti oculati per produrre un prodotto credibile, ma quello di accrescere, a brevissimo termine, il valore delle azioni. In tale ottica anche solo l’annuncio di piani ristrutturazioni aziendali volti a ridurre le spese (attraverso delocalizzazioni, esternalizzazioni, intensificazione dei turni di lavoro, tagli ai cosiddetti ‘rami secchi’ etc.) aumenta immediatamente il valore delle azioni.

Nel processo di produzione della ricchezza attraverso la trasformazione di materie prime in merci il capitale aveva bisogno di manodopera e su questo bisogno il mondo del lavoro ha costruito il conflitto e conquistato le tutele ed i diritti durante il ‘900; invece nello schema diadico il lavoro non è più strumento prioritario del capitale per produrre ricchezza: il rapporto tra domanda e offerta viene rovesciato ed i diritti erosi continuamente anche grazie ad uno sterminato esercito del lavoro di riserva che la globalizzazione ha offerto.

La ricostruzione di un conflitto non può che partire dalla consapevolezza di questa situazione, senza la quale qualunque iniziativa rischia di contribuire ad accrescere la frustrazione delle vittime del Finanzcapitalismo e la loro sensazione che il presente sia impolitico ed inemendabile.


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da LINKREDULO di Mercoledì 04 Maggio 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/2029-precario-sara-lei--d1-d2-ed-il-lavoro-non-serve-piu.html