giovedì 29 settembre 2011

Andare via dal Sud ieri ed oggi

Del rapporto Svimez sull'occupazione al Mezzogiorno ne ha già parlato su questo giornale Antonella Squicciarini: al Sud c'è sempre meno lavoro e sempre meno ricchezza, il che dà il via a imponenti fenomeni di migrazione giovanile verso il Nord Italia.

La scelta di restare al Sud era fino a qualche anno fa una scelta in cui si intrecciavano vita, politica, affetti e coraggio. Di fronte ad un immaginario che era profondamente “nordista” e che propugnava modelli di successo legati a professioni e mondi produttivi lontani anni luce dal Sud, per un giovane laureato meridionale, curioso e volenteroso di realizzare i propri sogni, trovare lavoro altrove significava certificare il taglio con ogni provincialismo. Scegliere di restare al Sud significava invece rifiutare l'immaginario dominante ed accettare una sfida consapevoli di partire da una condizione di debolezza.

Molto di quell'immaginario è stato decostruito negli ultimi anni: basti pensare alla figura del brooker finanziario (figura anti-meridionale per eccellenza), passato nell'immaginario collettivo da alfiere del nuovo capitalismo rampante a sciacallo mangia-risparmi. Ciò che non è cambiato però è la subalternità del Mezzogiorno al Nord-Italia: ieri si manifestava anche sul piano dell'immaginario, oggi solo su quello materiale. Con un paese in crisi, con le giovani generazioni sempre meno propense ad accettare sfide che evidentemente paiono perse in partenza, la parte del paese dotata del tessuto produttivo più solido appare come l'unica capace di offrire un'occupazione che magari non piace, non esalta e non realizza alcun sogno, ma quantomeno offre la garanzia a trent'anni di non dover chiedere soldi a mamma e papà. In tempi di crisi, scusate se è poco.

L'unica speranza possibile per uscire da questa valle di lacrime non risiede però in nuove contrapposizioni, neo-borbonismi o guerre tra poveri ma è rappresentata dalla decomposizione dell'immaginario che ha furoreggiato dagli anni '80 fino all'autunno del 2008. Occupare quello spazio al più presto è una priorità non prorogabile, soprattutto per gli anelli deboli della vecchia catena arrugginita che teneva insieme l'Italia.


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da LINKREDULO di GIOVEDì 29 SETTEMBRE 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/2272-andare-via-dal-sud-ieri-ed-oggi.html

lunedì 12 settembre 2011

11/9/01: quasi un'epoca fa!



Per chi ha vissuto la propria adolescenza nei pressi dell’11 Settembre 2001 l’attentato alle Torri Gemelle ha rappresentato il battesimo della propria autocoscienza storico-politica. La sensazione predominante era quella di essere contemporanei a qualcosa di inequivocabilmente importante, di star attraversando un’epoca che si apriva con un fatto che offriva una chiave di lettura del presente che avrebbe permesso a chiunque, un domani, di dire “io c’ero”. Cominciare a capire di esser parte del mondo con un evento così terribile era allo stesso tempo inquietante ed esaltante. Silvia Avallone nel suo romanzo “Acciaio”, ambientato proprio nell’estate del 2001, ha meritoriamente raccontato quei momenti visti con gli occhi di ragazze e ragazzi spensierati di un’età compresa tra i 14 ed i 26 anni riuniti in un bar di paese, qualunquisti ma allo stesso tempo morbosamente incuriositi da quanto stava accadendo.

Le domande e le riflessioni sulla situazione internazionale non erano una novità in quell’estate cominciata a Genova: molti avevano già cominciato a confrontarsi e schierarsi sui temi sollevati dai No Global. L’11 Settembre travolse tutto e chiamò in causa tutti, anche i tantissimi che da Genova non erano stati lambiti in quella calda estate in cui impazzava “Tre parole”, una canzonetta inno della spensieratezza e del disimpegno. Ascoltarla oggi con la consapevolezza di quello che stava per accadere fa venire i brividi.

Ad un decennio di distanza sembra passato un intero secolo. Tanti sono gli eventi che hanno sconfessato la lettura egemone in Occidente di quei fatti e della reazione necessaria: il fallimento delle guerre in Afghanistan ed Iraq, la crisi economica che ha fatto traumaticamente scoprire all’Occidente come il proprio nemico sia al suo interno, la candidatura di Obama e la sua elezione (indipendentemente dal giudizio che si possa dare del suo operato) ed infine le rivolte nel mondo arabo (nonostante su di esse pesino proprio le incognite del fondamentalismo islamico).

In questa nuova epoca restano ancora aperte le sfide e gli interrogativi posti dall’11 Settembre: la convivenza tra culture diverse, le tensioni internazionali nate e rinfocolate da secolari disuguaglianze, l’iniquità di una globalizzazione non governata dalla politica e le spinte fondamentaliste ed identitarie che essa innesca. Ad esse però l’Occidente vi si accosta oggi meno sicuro di sé, ferito dalla sua stessa arroganza. E non è detto che sia un male.


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da LINKREDULO di DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/2246-11911-quasi-unepoca-fa.html

La lunga marcia comincia adesso


Lo sciopero generale indetto dalla Cgil è stato un successo: le piazze e le strade si sono riempite di quella parte d'Italia contraria alle tante manovre proposte nelle ultime settimane e convinta della necessità di mandare via questo governo.

Sull'efficacia dello strumento dello sciopero generale oggi occorre però spendere qualche parola. Nelle ultime settimane la Cgil dopo la proclamazione dello sciopero è stata attaccata dalla destra e da Confindustria che l'accusavano di "irresponsabilità" e dal mondo antagonista che le contestava l'esiguità del numero delle ore di mobilitazione a fronte della gravità delle misure del governo.

Lo sciopero generale era fino a qualche decennio fa uno strumento efficace per bloccare il paese: tra grande industria e pubblico impiego era occupata una parte considerevole della popolazione italiana. Se in questi due settori i lavoratori incrociavano le braccia, il paese si bloccava e la percezione del disagio era evidente. Oggi, dopo un ventennio di esternalizzazioni e delocalizzazioni, l'Italia industriale è stata lentamente smantellata: sempre più sono le piccole e medie imprese o addirittura i lavoratori in proprio messi in concorrenza tra loro per dei servizi che prima fornivano essendo dipendenti di qualche grande gruppo. Il pubblico impiego è oggetto di una forte cura dimagrante (si pensi alla scuola). I processi di flessibilizzazione delle leggi in materia di lavoro hanno fatto il resto. I lavoratori per i quali lo sciopero è un'opzione a portata di mano sono cioè sempre di meno: chi non scende in Piazza oggi non lo fa perché contrario alle motivazioni della protesta (questa come qualunque altra) ma perché le condizioni materiali del proprio lavoro fanno di tutto per inibire la sua volontà e la sua possibilità di mobilitarsi.

Da questo, dalla metamorfosi delle condizioni materiali del lavoro, dipende prima di tutto la crisi del sindacato in Italia ed in Europa. Così ci si spiega i suoi tentennamenti: il sindacato sa di non riuscire più a rappresentare la totalità dei lavoratori e pertanto ogni volta che deve compiere un passo in avanti deve contemporaneamente chiedersi chi lo seguirà.

Ciò significa forse che mobilitarsi con la speranza di fare qualcosa d'altro di un semplice atto di testimonianza sia una pia illusione? No, ma bisogna avere la consapevolezza che vincere una battaglia sul terreno del lavoro oggi è un'operazione estremamente complessa che non può giocarsi solo sul terreno del lavoro. Pertanto questo sciopero generale, con tutti i suoi limiti, con la consapevolezza che nessuno sperava che alla sera il governo avrebbe ritarato la manovra, lo si deve considerare come un buon inizio. Unire in un'unico corteo metalmeccanici, pubblico impiego, pensionati, immigrati, precari e studenti all'inizio di Settembre è un risultato fantastico. Ora affinché non venga sprecato c'è bisogno contemporaneamente che all'interno dei vari settori il fronte si allarghi e che tra di essi non si divida. Scarpe rotte, eppur...


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da LINKREDULO di MERCOLEDì 7 SETTEMBRE 2011 - http://www.linkredulo.it/politica/2243-la-lunga-marcia-comincia-adesso.html

domenica 4 settembre 2011

Sembrava il migliore dei mondi possibili

Cosa ne sarà della manovra ad oggi non è dato saperlo. Dopo la bocciatura del contributo di solidarietà e dell'intervento sulle pensioni non si riesce a capire da dove l'attuale maggioranza abbia intenzione di reperire una rilevante parte della cifra necessaria per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013.

Sarebbe però un errore interpretare il caos come l'impedimento alla comprensione dell'attuale situazione politica italiana. È proprio il caos invece a dirla lunga su una classe dirigente che ad oggi, tranne rare eccezioni, non ha compreso quanto accaduto nell'autunno 2008 con la crisi finanziaria: oggi viviamo in un mondo completamente diverso da quello di solo tre anni che, ben al di là del fisiologico passare del tempo, appaiono come un'altra era geologica. Il berlusconismo è nato negli anni '90 e ne è figlio legittimo, grande interprete di un'epoca in cui il dominio dell'Occidente sul resto del mondo era fuori discussione, in cui era ancora legittimo pensare che il mercato fosse il bene e che non necessitasse di alcuna forma di compensazione, anzi. Il debito pubblico, benché fosse immenso, non impensieriva nessuno (a parte quei parrucconi del centro-sinistra...) in un quadro geopolitico stabile.

Quel mondo non esiste più e fin quando non saranno spazzati via gli ultimi ruderi prodotti da quel clima politico il caos, insieme ad imbarazzanti balbettii, è l'unico spettacolo a cui potremo assistere.


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da LINKREDULO di GIOVEDì 1 SETTEMBRE 2011 -

http://www.linkredulo.it/politica/2235-sembrava-il-migliore-dei-mondi-possibili.html

Che pasticcio sulle Province!

Il dibattito sull’abolizione delle province appassiona vasti settori del dibattito pubblico anche in virtù del fatto che è stata spesso cavalcata durante le campagne elettorali per essere poi prontamente disattesa nella prassi di governo.

Nel lessico comune le Province sono diventate “enti inutili” e la loro abolizione viene percepita come una misura semplice ed utile a rimpinguare le casse dello stato, magari investendo i denari risparmiati in misure per lo sviluppo, l’occupazione ed il welfare. Tale misura però, per quanto incontestabile, non può che essere un’operazione delicata in quanto comporta una ridefinizione dell’assetto istituzionale. Non può cioè esser fatta con l’accetta, dall’oggi al domani senza considerare le conseguenze che comporterebbe. Tutto ciò è esattamente quello che avviene con la misura adottata dal governo che prevede l’abolizione delle province con meno di 300.000 abitanti.

Le competenze dell’ente provincia ad oggi sono relative principalmente all’edilizia scolastica ed alla manutenzione stradale, oltre alle funzioni di raccordo tra le competenze dei Comuni e delle Regioni. Inoltre l’Ente provincia attribuisce ai capoluoghi un riconoscimento dell’importanza e del rilievo che essi svolgono nel territorio. Qualunque misura relativa a quest’ente volta a ridurne le spese o ad abolirlo dovrebbe tentare un percorso di trasferimento delle competenze che eviti conflitti ed allo stesso tempo prevedere misuri che tutelino il ruolo dei capoluoghi.

Nell’iniziativa del governo tutto ciò è del tutto assente: in primo luogo non viene posto in questione il ruolo della Provincia ma si aboliscono solo quelle piccole, prive della capacità di ribellarsi. In secondo luogo non è previsto alcun percorso che tuteli il ruolo ed il prestigio di importanti città italiane. Infine apre una imprevedibile percorso di transizione in cui non è difficile prevedere diversi conflitti: le province abolite potranno federarsi? Se sì, quale dei due ex-capoluoghi prevarrà? Che succederà nelle Regioni che restano senza Province?

Serviva un po’ più di coraggio, quello necessario per abolirle tutte e cominciare un percorso in cui si ripartiva tutti da zero con delle regole chiare. Nel paese in cui i campanilismi tengono troppo spesso in ostaggio la politica prepariamoci invece a nuovi rancori tra territori fratelli.


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da LINKREDULO di Mercoledì 17 AGOSTO 2011 -