martedì 23 novembre 2010

Intervista a mio nonno Alfredo

Circa quattro anni fa, all'interno di una rubrica che curavo su coratolive.it in cui intervistavo personaggi del mio paese, dedicai due spazi alla memoria storica. In uno intervistai Vito Caldara, bracciante agricolo e militante della CGIL e gli chiesi di raccontarmi le lotte bracciantili ed in un'altra intervistai mio nonno paterno (di cui porto il nome) chiedendogli di raccontare la sua esperienza di emigrante in Canada negli anni '30-'50. Nella primavera scorsa mio nonno, all'età di 97 anni, ci ha lasciati.
Per timore che quell'intervista, che racconta una storia verso cui mi sento debitore, vada persa la ripubblico su questo blog.



…stai tranquillo?

Sto tranquillo!


Come ti ricordi Corato prima di partire per il Canada?


Una grande povertà. Io lavoravo come meccanico, ma guadagnavo molto poco.



E dell’infanzia che ricordi hai?

Ricordo che giocavo con un carrettino. Un'altra volta misi su un teatrino: prendevo delle figure che mettevo in un apparecchio con una luce dentro e dei vetri che rifletteva queste figure sul muro.



Che scuola hai frequentato?

Sono andato alla scuola elementare: all’epoca era fino all’ottava classe, ma io la feci fino alla sesta.



In che edificio?


Al Fornelli.



Tutti e sei gli anni?

No, c’erano altri edifici. Sono stato lì un paio di anni e poi altri magazzini: locali al pian terreno di palazzi erano affittati a scuole.



E il riscaldamento?


No, non c’era riscaldamento.



E dopo la scuola che facesti?


Dopo la scuola mio fratello mi portò in campagna, ma non andavamo molto d’accordo: e siccome lui era anche più grande di me ed aveva più esperienza di cinque anni, quindi era lui che voleva decidere.



I tuoi amici di scuola come erano vestiti, che persone erano?


C’erano sia ricchi che poveri, e li si riconosceva subito, i poveri si vestivano come capitava ed alcuni figli di ricchi venivano in carrozza ..e allora dopo la scuola…. Io dissi che volevo fare il meccanico, che era un lavoro

importante; la mia famiglia non voleva: le mie sorelle volevano che io andassi da un negozio a fare pratica e l’indomani, aprire un negozio di tessuti. Ma pensai che il negozio quando volevo lo aprivo.


Tu sei andato in Canada nel 1935… I soldi del biglietto dove li trovasti?

Li prendemmo in prestito dalla banca. E poi dall’America spedivamo i soldi per saldare il debito, allora gli interessi erano molto alti.



Chi venne con te della tua famiglia?


Eravamo 3 sorelle e 2 fratelli. Partimmo da Napoli, andammo prima in Inghilterra, a Liverpool, e lì trovammo una nave grande che in 7 giorni ci portò in Canada.



Non viaggiasti in prima classe?


No, la prima volta che andammo viaggiammo in terza classe. L’ultima volta tornammo in prima classe: ci dettero da mangiare un po’ di più, il letto era migliore, ma sono fesserie..!



Quando siete arrivati in Canada come vi hanno accolto? Vi hanno fatto delle visite mediche?


No, quello le fanno sulla nave: visitavano per vedere se avevi qualche malattia infettiva, e se l’avevi non ti facevano partire.



Arrivato là che lavori hai fatto?


Il lavoro non si trovava. C’erano una disoccupazione mondiale, una crisi mondiale. E allora stavo a spasso: andavo a lavorare in un posto, mi tenevano una settimana e poi mi licenziavano. Ho fatto molti lavori.



Tipo?


Trovai lavoro come meccanico in un garage, poi dopo 1-2 settimane mi dissero che non avevano più bisogno.



E quando non c’era lavoro come facevi per mangiare?


Le mie sorelle hanno sempre lavorato come sarte. Stavamo tutti insieme, eravamo tutti scapoli. E loro in quel periodo mettevano i soldi per mangiare. A quel punto la fortuna la ebbi io (lo sguardo si illumina e la voce assume un ritmo molto più lento, cadenzato, tradendo un certo orgoglio…). Mi venne un’idea: mettermi a vendere cose. Mi andavo a trattenere da un amico che aveva una salumeria, un italiano professore di musica, che da anziano aprì questo negozio. Un giorno venne un uomo a portargli del caffè. Chiesi a questo amico cosa facesse quest’uomo e lui mi disse “sta facendo una fortuna, va vendendo caffè nelle case private”. Decisi di provare a fare lo stesso. Chiesi 5 dollari a mia sorella e le dissi che mi servivano per comprare del caffè, e cominciare a guadagnare qualche cosa. E andai a persone che conoscevo, a case private, degli italiani a venderlo. Lo acquistavo a chilo… lo andai a comprare da quello che trovai nel negozio, che aveva la torrefazione. Ricordo che aveva vari tipi di caffè con nomi diversi, ed io non sapevo niente.



E quale prendesti?


Gli chiesi di darmi quello migliore, non potevo dirgli che non capivo niente… E cominciai a girare a vendere questo caffè: andavo a piedi, perché se prendevo il tram se ne andava tutto il profitto che avevo fatto. Dopo un poco mio fratello aveva la macchina e vedendo che io andavo in giro con i pacchi di caffè a tracolla me la dette.



E insomma ti stava andando bene…


Una volta avuta la macchina giravo e vendevo bene. Lo seppe il venditore, quello che lo vendeva a me, e per paura che gli rubassi il mestiere mi dette un caffè brutto, miscelato di porcherie: quando lo portai alla gente mi dissero “che razza di caffè mi hai portato? Quello è veleno..!” Lo fece apposta. A quel punto andai da una ditta canadese, e continuai a vendere. Guadagnavo sì, ma non tantissimo. A mio fratello venne un’idea, mi disse “e se noi vendiamo qualche altra cosa quando andiamo in casa?” E cominciammo dal formaggio, continuando con la pasta, etc.



Giravate con la macchina piena di tutte queste cose?


Si. Parlammo con le ditte che producevano caffè, latte, pasta, ma ci servivano la prima volta, poi dopo ci dicevano che servivano solo ai negozianti perché per legge i grossisti possono vendere solo ai negozianti. Io ero un privato e non mi servivano più. E allora decisi di comprarmi un negozio con i soldi che avevamo fatto. C’erano degli annunci sui giornali e trovammo un negozio di due vecchietti canadesi. Non avevano niente nel negozio, e lo vendevano: erano stanchi. E per 50 dollari ebbi il negozio. A me non serviva quello che vendevano loro, ma la licenza. E allora tornai dalle ditte, gli dissi di avere il negozio in tale posto e mi portarono le cose.



Ma dopo quanti anni cominciasti a fare questo lavoro?


Dopo 2-3 anni… e allora comprammo una proprietà, un fabbricato di due piani, dove stava una ditta canadese che faceva gelati. Lo comprammo per 15.000 dollari.



Ed avevi fatto così tanti soldi vendendo caffè?


Erano già un paio d’anni che lo facevo. Ed aprimmo il negozio. C’erano due piccoli magazzini: io buttai giù il muro e feci uno spazio grande. Attorno lì c’erano molti italiani che abitavano e venivano a fare la spesa. E dietro abitavamo noi. Ma era ancora piccolo, decisi che ne volevo uno più grande. A quel punto andammo in Via San Lorenzo: comprammo un grande magazzino. Il proprietario era un siriano.



Venivano tante persone a comprare?


Si, anche dagli altri paesi. Vendevamo a prezzi più bassi dagli altri negozi. E poi io decisi di non perdere i clienti che mi ero fatto fuori, ed allora dissi a mio fratello di restare nel negozio ed io andavo in giro in macchina dai clienti di fuori. E quel negozio è stata la nostra fortuna.



I canadesi come vedevano il fatto che un immigrato si fosse arricchito? Erano invidiosi?


Si, erano invidiosi. Vedevano che gli italiani venivano da fuori e si compravano le proprietà.



Ma vi dicevano qualcosa? Vi criticavano?


No, altrimenti si faceva lite. Da dietro, tra di loro parlavano, ma noi sempre sentivamo quelle cose. Gli italiani lavoravano e mettevano sempre soldi da parte.



E gli altri italiani che lavori facevano?


C’erano alcuni che facevano lavori umili ed altri che erano grandi industriali. C’era uno che faceva gli aerei.



Tu sei stato là dal ’35 al ’57, durante il fascismo e la seconda guerra mondiale. Là arrivavano le notizie?


Certo, lì c’erano i fascisti. Anche dei canadesi, figli di italiani che erano fascisti.



Ma gli altri canadesi quando vedevano voi italiani vi sfottevano, vi chiamavano ‘fascisti’?


No, c’erano anche fascisti tra di loro.



E si riunivano in qualche associazione?


Si, c’era un posto dove si riunivano, la ‘casa d’Italia’, un’associazione dove si ballava, ma io non mi volli iscrivere. Quando ero in Italia ero fascista, perché se non eri fascista non facevi nessun lavoro, non potevi fare niente. Ma quando arrivai in Canada dissi: no, fascista non voglio essere! In Italia era necessario, qui dove posso avere le mie idee non ne voglio sapere. E fui fortunato: quando Mussolini dichiarò guerra all’Inghilterra, ed il Canada faceva parte dell’Inghilterra, la Polizia andò la notte stessa nella sede dell’associazione, prese i registri ed arrestò tutti i soci. Meno male che non mi iscrissi, perché nessuno pensava alla guerra..



… tu non ti iscrivesti perché non ti volevi iscrivere?

Si, dissi qui non voglio essere fascista: voglio essere libero, e non mi iscrissi. Ma non pensavo che doveva venire la guerra, come non lo pensava nessun’altro.



E poi perché hai deciso di tornare in Italia? Stavi facendo tanta fortuna…


Perché quello che avevamo fatto mi bastava, il modo di vivere in Canada non mi piaceva. E poi pensai che quando i figli sarebbero diventati grandi, in Italia non sarebbero più voluti venire. Tutti quelli che nascono lì non vogliono più tornare in Italia. Avevo due figli e decisi di tornare subito, quando ancora erano piccoli, 5 e 3 anni.



Quando sei tornato in Italia poi c’era tensione sociale, soprattutto nelle campagne. Ti sei mai pentito di esser tornato?


No, no, mai. Non mi sono mai trovato in queste faccende. Portavo a lavorare sempre persone di fiducia. Non tutte le persone sono cattive sulla terra…



Hai trovato molto diversa Corato al tuo ritorno? Si stava meglio?


Tutto era diverso: si stava meglio, si guadagnava di più. Però l’Italia è rimasta sempre povera.



Ma di che cosa ti stupisti quando tornasti?


Gente che mangiava pane soltanto, o anche gente che non aveva neanche quello. Quello non era cambiato; adesso si sta molto meglio.



Ultima domanda: adesso hai 94 anni, c’è qualcosa di cui ti sei pentito o sei soddisfatto di tutto?


Sono rimasto contento di tutto. Ho sempre lavorato, sempre preso iniziative. E l’ho fatto fino ad adesso.



Grazie


Prego


29/12/06

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