domenica 6 marzo 2011

"Il nostro patriottismo nella sua forma più alta fu uguaglianza di diritti". Intervista a Maurizio Viroli.

Continuiamo il nostro approfondimento sul Risorgimento e sull’Inno di Mameli a partire dall’esegesi fatta da Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Oggi intervistiamo Maurizio Viroli, filosofo della politica e storico del pensiero politico, professore presso l’Università della Svizzera Italiana (Lugano) e di Princeton ed autore di una vasta produzione sui temi del repubblicanesimo e del patriottismo.

Nei suoi scritti lei sostiene che l’idea di Patria che ha guidato il Risorgimento e ne è stata in qualche misura egemone sia un’idea di patria come comunità di uomini liberi, rispettosa degli altri popoli e delle altre nazioni e non fondata sui confini territoriali e la discendenza. Prima di chiederle un parere sull’esegesi di Benigni le chiedo come colloca nella sua lettura del Risorgimento l’Inno di Mameli.

L’Inno di Mameli si colloca dentro l’idea di Patria che lei ha descritto: Mameli si ispira alle idee mazziniane, è un mazziniano, ha un’idea di Patria legata alla libertà comune di un popolo. Questo fu il concetto di Patria che ebbe maggiore incidenza dal punto di vista culturale e politico in Italia sicuramente fino al 1860, poi le cose cambiarono in una direzione che io descriverei come l’emergere di elementi e concetti nazionalisti all’interno di una teoria patriottica. Per Mazzini la Patria è la libertà e non è il territorio. Lo dice precisamente proprio con queste parole fin dai primi saggi sul tema ed anche negli ultimi (ad esempio nello scritto Nazione e nazionalità in Italia del 1871). Quando sostiene che la Patria non è il territorio ed aggiunge che la lingua, la religione, la razza sono soltanto degli indicatori della Patria e che questa esiste solo laddove c’è la libertà comune (e questo per lui voleva dire laddove c’è un regime repubblicano), Mazzini vuole spiegare che la Patria è un concetto di carattere etico-politico e non un concetto, come dicono gli studiosi, ascrittivo, cioè più o meno naturale. Questa concezione della Patria ha ispirato il nostro Risorgimento soprattutto in due sensi: c’è vera Patria soltanto quando esiste uguaglianza di diritti civili e politici all’interno e la Patria è Patria tra le altre Patrie. Per Mazzini quindi non solo non era ammissibile in alcun modo l’aggressione e la conquista nei confronti di altri popoli, ma anche che dovere preciso del cittadino, del patriota, era schierarsi a fianco di tutti i popoli che lottano per la libertà. Questo è stato il nostro patriottismo nella sua forma più alta, soprattutto fino al 1860. È evidente che c’erano anche elementi di nazionalismo in altre concezioni della nazione e dell’emancipazione nazionale, ma nella sua forma che ebbe più incidenza storica il nostro patriottismo fu non solo distinto, ma addirittura opposto al nazionalismo.


Quindi a suo parere raccontare il Risorgimento a partire dall’Inno di Mameli significa fornirne un racconto parziale?

L’Inno di Mameli rappresenta a mio parere una concezione del patriottismo che, certo, non raccoglie tutte le versioni del patriottismo italiano, ma ne rappresenta una versione importante. Il vero inno che mosse gli animi e i cuori del Risorgimento fu però Va’ Pensiero: quello è ancora più chiaramente un inno di libertà. L’Inno di Mameli aveva inizialmente come titolo Canto degli italiani, doveva essere un canto che esprimeva la volontà di rinascita di un popolo. Il concetto del destarsi, presente nell’Inno con la frase “l’Italia s’è desta”, è stato un concetto chiave del nostro Risorgimento. La parola “risorgimento” ha un’antica radice religiosa: il rinascere è proprio dello spirito umano che ritrova se stesso liberandosi dalla corruzione, dalla degenerazione, dalla debolezza morale. Il Risorgimento non fu un ritorno a forme politiche del passato, ma era ispirato dal trovare dentro se stessi la forza morale per il riscatto.


Nello stesso Inno però si fa riferimento al passato, addirittura proponendo una continuità con l’Impero romano. Benigni questo l’ha evidenziato, parlando della Battaglia di Zama ha detto che è stata una battaglia vinta dagli italiani. Come conciliare l’idea di Patria come libertà con questi aspetti che invece sono fortemente legati alla discendenza ed al territorio?

Questo è uno di quegli aspetti dell’Inno di Mameli che non si conciliano con l’idea di Patria repubblicana. Nella ricerca di punti di riferimento nel passato i patrioti italiani avevano bisogno di riferirsi anche a dei momenti di gloria militare anche perché il problema principale, il più urgente ed il più drammatico, era quello di vincere sul campo con gli austriaci e quindi non andavano tanto per il sottile, non distinguevano battaglie per la libertà e battaglie che, come quella di Zama, furono battaglie di carattere espansionistico, di aggressione. Quello da lei citato è un esempio della presenza di elementi ibridi, di ambiguità nel linguaggio politico dell’Inno di Mameli, e del resto è difficile immaginare un inno politico che sia dal punto di vista intellettuale e teorico perfetto: ce ne sono pochissimi.


Se avesse potuto parlare a Benigni prima della sua performance al Festival che consigli gli avrebbe dato per raccontare il Risorgimento esaltando quelle che lei ritiene essere le sue parti migliori?

Gli avrei consigliato di fare ascoltare Va’ Pensiero e di spiegare quelle parole, di spiegare come vi fosse presente uno spirito religioso. Il testo di Va’ Pensiero è tratto dalla Bibbia e Verdi, che non andava in chiesa ma aveva un animo religioso, lo capì benissimo e si innamorò di quelle parole. Avrei detto a Benigni di spiegare bene che cosa vuol dire “le memorie nel petto riaccendi” e “infondere al patire virtù”. L’idea del Risorgimento era proprio questa: coltivare, far rivivere nell’animo le memorie antiche di libertà italiana per trasformare l’animo servile, l’animo avvilito nelle virtù dalla dominazione straniera in forza morale che potesse guidare il riscatto. Virtù vuol dire questo: è forza morale, è coraggio, consapevolezza della propria dignità. Gli avrei anche detto di sottolineare il fatto che Verdi fa cantare queste parole di riscatto a un altro popolo: agli ebrei schiavi in Babilonia. Certo, c’era in questo un’esigenza di censura: non poteva Verdi far cantare quelle parole a degli italiani. Ma è anche vero che è significativo che il nostro maggiore musicista scegliesse come protagonisti dei popoli stranieri o addirittura, come nel caso dell’opera Giovanna d’Arco del ’47, facesse parlare un’eroina straniera. Basterebbe questo per far capire la differenza del nostro Risorgimento con altre esperienze di emancipazione nazionale. Ad esempio Wagner fa solo parlare degli Dei, dei personaggi mitologici tedeschi.


Benigni non ha lesinato il racconto di eventi ed aspetti del Risorgimento particolarmente violenti. Oggi, dopo la lezione della II guerra mondiale che ha insegnato all’Europa la necessità della pace ed il reciproco riconoscimento dei confini nazionali, ai tempi dell’integrazione europea, in che maniera ritiene che sia giusto ricordare e raccontare gli eventi bellici del Risorgimento che invece parlano di un’Europa divisa con le sue parti in lotta tra loro?

Ritengo che dal punto di vista di una educazione alla cittadinanza sia assolutamente necessario ricordare che l’emancipazione dei popoli dalla dominazione straniera o da regimi autoritari ed oppressivi richiede necessariamente l’uso della violenza rivoluzionaria. Gli austriaci non se ne sarebbero mai andati con petizioni o con raccolte di firme, così come il fascismo non sarebbe mai caduto con dimostrazioni (che impediva) o con mezzi pacifici. Dal punto di vista educativo è assolutamente sbagliato insegnare che la libertà non debba in determinate circostanza, come quelle che ho descritto, essere conquistata con la violenza e con il sacrificio. Per questo non condivido le opinioni dei colleghi che ritengono che il Risorgimento non debba essere celebrato perché fu carico di elementi di militarismo: alcuni colleghi parlano della ‘comunità dei guerrieri’ come elemento caratteristico della nazione emersa nel nostro Risorgimento, altri sottolineano il fatto che si fa molta enfasi sul sacrificio di sé nel campo di battaglia, sul martirio. Da studioso che si ispira sempre a Macchiavelli, da realista quale sono, devo far notare che senza le vittorie militari, senza potenza militare al servizio della libertà e senza la capacità di molti giovani al sacrificio di sé l’Italia non sarebbe diventata libera, non sarebbe diventata una, così come nella resistenza antifascista se non ci fossero state vittorie militari con un uso della violenza e della guerra, se non ci fosse stata la volontà di sacrificio di molti, a quest’ora saremmo ancora con le camice nere e canteremmo Giovinezza.


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da LINKREDULO di Domenica 6 Marzo 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/1828-qil-nostro-patriottismo-nella-sua-forma-piu-alta-fu-uguaglianza-di-dirittiq-intervista-a-maurizio-viroli.html

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