venerdì 25 marzo 2011

La vocazione politica della scuola pubblica

Il Quotidiano di Puglia riportava ieri la notizia di un genitore del quartiere Paolo VI di Taranto che recatosi presso la scuola del figlio durante le ore di doposcuola pretendeva portarlo con sé per accompagnarlo a calcetto. La notizia sta nell’epilogo di questa vicenda: di fronte alle rimostranze del docente che tentava di spiegare come non fosse lecito irrompere nell’aula sottraendo il ragazzo all’obbligo scolastico il genitore ha prima risposto “Mio figlio deve giocare a calcio, se diventa calciatore, può comprare te e tutta la scuola” per poi passare direttamente alle vie di fatto aggredendo il docente.


Quando si co
mmentano fatti del genere l’errore più grande che si possa fare è leggerli con categorie del passato, ad esempio quella della perdita di autorità del docente e della scuola. Fermandosi a questo livello di lettura si possono o rimpiangere i tempi andati, quelli in cui i docenti erano figure temute, dotate della liceità di usare anche le mani come strumento educativo o celebrare la libertà dei nostri tempi in cui ognuno è finalmente libero di abbeverarsi della formazione che meglio crede. Allo stesso modo si può da apocalittici rimpiangere uno stato etico che nella scuola aveva il suo terminale più efficiente o da integrati nei nostri tempi, con presunto spirito liberale, rallegrarsi della pluralità di fonti di formazione oggi a disposizione delle famiglie.

La scuola pubblica non è mai stata neutrale ma sempre in rapporto dialettico con le sfide dei tempo: nata in Occidente con lo scopo di combattere l’analfabetismo, sottrarre le masse alla superstizione ed al potere della religione, ha vissuto nel secondo dopoguerra una lotta tutta al suo interno nella quale le nuove generazioni di studenti e docenti hanno cercato affrancarsi dagli aspetti più autoritari, repressivi e classisti dell’insegnamento (Don Milani docet). Oggi la scuola torna a combattere contro forze a lei esterne, profondamente diverse però da quelle con cui si confrontava alla sua nascita, forze che hanno l’astuzia di costruire un’immagine del tutto falsa del proprio antagonista, quella cioè di un’istituzione neutrale che deve accettare i propri tempi, assecondarne le tendenze, riprodurne i rapporti di forza. Di fronte alla società dei consumi e dello spettacolo, all’epopea della realizzazione di se stesso, alla scuola si chiede infatti di essere ‘democratica’, di non imporre visioni ‘ideologiche’. Poco importa che poi le tendenze che le si chiede di assecondare siano tutt’altro che ‘democratiche’ e ‘post-ideologiche’: cosa c’è di democratico e di post-ideologico nell’idea che il destino degli altri sia secondario rispetto a quello proprio, che il destino collettivo sia frutto del fato, che la dignità di una vita passi solo attraverso il denaro?

Sull’eredità del ’68 e di tutte le battaglie anti-autoritarie ed anti-repressive si è ultimamente ingenerato un’equivoco: chi ieri era contrario a quelle istanze, oggi le rivendica come strumento per legittimare lo status quo e de-politicizzare il presente. C’è in questo una correlazione tra il dibattito sulla scuola pubblica e quello sul Ruby-gate: come chi si indigna per il degrado pubblico che emerge dai festini di Arcore, vero luogo di selezione della classe dirigente del Pdl, viene tacciato di moralismo retrogrado e sessuofobo, così chi si indigna per i tagli alla scuola pubblica ed i finanziamenti alle private viene tacciato di essere statalista, ideologico e di avere un’idea non libera dell’istruzione. I veri eredi del ’68 sarebbero quindi quelli che hanno portato sino a estreme conseguenze la rivoluzione sessuale difendendo la libertà dei potenti di comporre liste elettorali in camera da letto e quelli che hanno portato sino a estreme conseguenze la lotta anti-autoritaria ed anti-classista sul terreno dell’istruzione pubblica difendendo la libertà delle famiglie di rivolgersi a qualunque scuola, pubblica o privato, laica o confessionale, seria o diplomificio che sia.

L’attuale nemico della scuola pubblica però non c’entra niente con la critica anti-autoritaria ed anti-classista che ad essa è stata rivolta dal ’68, da Pasolini, da Don Milani. Ieri quelle critiche erano rivolte contro l’esclusione sociale che la scuola produceva e riproduceva, oggi alla scuola pubblica si chiede di limitarsi a prendere atto di ciò che avviene fuori di essa benché questo produca esclusione sociale. La scuola pubblica è nata per i figli del Paolo VI, si è rinnovata per i figli del Paolo VI ed oggi deve difenderli da chi li seduce e li conquista con la lusinga del denaro facile nascondendogli che solo 1 su 1000 ce la farà e che il modello sociale basato sulla delegittimazione della scuola pubblica e dei beni pubblici tutti lascerà gli altri 999 per strada.

Non esistono grandi vecchi che ordiscono complotti contro i beni pubblici, ma un sistema sorretto da tante bocche fameliche interessate a trarre beneficio dal loro degrado. Questo sistema ha già da parecchio tempo dichiarato guerra alla scuola pubblica. Ad essa spetta l’alternativa di difendersi o di passare al contrattacco; all’opinione pubblica sensibile alla solidarietà sociale ed alla salute dei beni comuni il dovere di non lasciarla sola.


-----------------------------------------------------------------------------------------------


da LINKREDULO di Venerdì 25 Marzo 2011 - http://www.linkredulo.it/scuola-e-universita/1898-la-vocazione-politica-della-scuola-pubblica.html

Nessun commento: