martedì 1 febbraio 2011

L'epocale ballata della Fiat

La questione dello stabilimento di Mirafiori merita grande attenzione, per la sinistra è una questione epocale. Negli anni passati nel dibattito sulla globalizzazione due partiti si fronteggiavano: quello di chi sosteneva che l’affacciarsi dei paesi in via di sviluppo e di quelli appartenenti all’ex area di influenza sovietica sul mercato avrebbe col tempo innalzato il livello dei diritti e delle tutele dei lavoratori nei paesi dove questi scarseggiano contro quello di chi invece sosteneva che la maggiore competitività sul mercato di questi ultimi avrebbe imposto all’occidente di rivedere al ribasso le conquiste sindacali.

Come ha scritto Luciano Gallino all’indomani del referendum di Pomigliano, con quella vicenda è calato il velo che copriva la globalizzazione: la più grande azienda per prima in Italia imponeva ai lavoratori di accettare la rinuncia al diritto di sciopero e la riorganizzare dei turni sotto il ricatto occupazionale. Quella vicenda, come quella odierna di Mirafiori, è la rappresentazione plastica della crisi epocale della sinistra, messa nell’angolo a livello mondiale da una riorganizzazione del processo produttivo che ha privato il mondo del lavoro di qualunque strumento per far valere la propria voce. Il fatto stesso che a Pomigliano si sia arrivati a quel referendum e che su Mirafiori si discuta delle opzioni proposte da Marchionne, indipendentemente dall’esito di entrambe le questioni, è una sconfitta per la sinistra. Pertanto non ho capito a Pomigliano e non capisco oggi a Mirafiori perché ci si affretti così tanto a tifare per le opzioni in campo certificando in tal modo di essere minoritari. Sbagliava chi a Pomigliano dava dei “crumiri”ai lavoratori pronti a votare sì, sbaglia a Mirafiori chi tifa per l’accordo permettendosi di dare consigli agli operai come se la scelta fosse scontata.

I rapporti in fabbrica e le battaglie del movimento operaio sono state dall’ottocento fino agli anni ’70 circa basate sulla situazione di fatto che incrociando le braccia gli operai costringevano i propri datori di lavoro a tenere fermi i macchinari su cui avevano investito ingenti capitali, le materie prime conservate nei depositi ed i quadri intermedi stipendiati per non far niente. Il lavoro, l’occupazione erano sinonimi di dignità perché ingeneravano un processo di emancipazione: non era il lavoro in sé a nobilitare lavoratore, ma il fatto che esso vincolasse il datore di lavoro a dover dar conto delle richieste che il lavoratore gli faceva. Oggi lo strumento dello sciopero è spuntato e qualunque lotta non può essere intesa come un braccio di ferro tra capitale e lavoro: il capitale ha la vittoria assicurata dalla possibilità di poter abbandonare il tavolo ed andare a giocare altrove. Una situazione del genere obbligherebbe una sinistra decente a non dormire la notte angosciata dall’assenza di prospettive, altro che la serenità di chi dispensa “buoni consigli”…

L’unico strumento rimasto oggi al mondo del lavoro è quello di coinvolgere nella battaglia un elemento terzo: l’opinione pubblica, quella che per il suo datore di lavoro rappresenta l’acquirente possibile e per la politica l’elettore possibile. Tutte le battaglie vinte ultimamente dai lavoratori in Italia hanno avuto la loro forza non nel mettere in crisi il sistema produttivo e gli investimenti fatti dal capitale ma nella capacità di comunicare con gesti eclatanti all’opinione pubblica la propria condizione di sfruttamento e di ricatto, a tal punto da obbligare la politica ad intervenire e la controparte a desistere, pena un calo di consensi elettorali e di crisi di vendite. Con un sindacato, la Fiom, che riprende coraggio ed è capace di imporsi all’opinione pubblica come soggetto forte (nonostante le divisioni con le altre sigle), per la sinistra dovrebbe essere più facile il compito di difendere i lavoratori, di chiedere al governo di fare da arbitro nella vicenda. Prevale invece una sorta di fatalismo, l’affanno di dimostrare che non si è estranei a quella che in molti chiamano “modernizzazione”, come se la storia camminasse su un binario unico ed in un’unica direzione. L’accettazione aprioristica di qualunque destino collettivo però è qualcosa di molto diverso da qualunque modernizzazione, si chiama totalitarismo. Per questo quelle di Pomigliano e Mirafiori sono questioni epocali.

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da Linkredulo di Venerdì 31 Dicembre 2010 - http://www.linkredulo.it/opinioni/1703-lepocale-ballata-della-fiat.html

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