Due giorni fa Natalia Aspesi su La Repubblica ha scritto:
“Poiché gli italiani non possono mai occuparsi di se stessi, dei loro problemi, della loro vita, e nel caso dei milanesi, della disoccupazione, della mancanza di case, delle strade dissestate, della sicurezza in periferia, della solitudine che attanaglia tutti, ma solo del premier, soprattutto questa volta non sono chiamati a decidere se questo sindaco ha amministrato bene, o come capita ovunque esista la democrazia, si può provare a cambiare. Noi disgraziati cittadini siamo chiamati a votare soprattutto pro o contro la magistratura, pro o contro il premier. Ci derubano della nostra città, della nostra quotidianità, di noi stessi. Non contiamo nulla.”

Questa tornata elettorale mi ha appassionata da subito pur non essendone coinvolto direttamente: le grandi città dove si vota sembrano essersi date appuntamento per celebrare insieme un importante crocevia delle loro storie. Sono passati ormai 18 anni dall'entrata in vigore di una legge elettorale che conferendo il mandato di sindaco direttamente nelle urne e prevedendo il doppio turno ha profondamente rinnovato le classi dirigenti delle città, talvolta con delle brusche virate, costruendo delle grandi leadeship o demolendole alla velocità della luce. Una lunga linea di continuità all'interno di queste storie sembra nella maggior parte dei casi esser giunta al capolinea in queste elezioni, o quantomeno sembra vacillare.

A Torino sembra profilarsi l'esito più scontato, principalmente in ragione di una candidatura proposta dal centro

In una recente puntata di Report si è parlato di Bologna come del crollo di un modello di buongoverno: l'ingloriosa

A Napoli il momento di rottura è ancora più evidente: esce di scena Rosa Russo Jervolino che era succeduta (rivendicandone la continuità) ad Antonio Bassolino. Insieme hanno governato la città per 18 anni, cominciati suscitando grandi speranze e costruendo l'immagine di un Sud che combatte il malaffare e imbocca lo sviluppo. Escono di scena tra immondizia e insulti. Il centro-destra attorno a Gianni Lettieri ha raccolto alcuni pezzi di quella classe dirigente tuonando contro la quale ha costruito i successi elettorali delle provinciali del 2009, delle regionali del 2010 (ed in parte anche delle politiche del 2008). Il centro-sinistra, dopo la figuraccia delle primarie si presenta spaccato: il Pd e Sel candidano l'ex-prefetto Morcone e l'Idv con la Fds candida Antonio De Magistris. Qualche mese fa, visti anche i precedenti delle provinciali e delle regionali, la vittoria del centro-destra al primo turno appariva scontata, ancor più in presenza di un centro-sinistra spaccato. L'ipotesi di una candidatura di De Magistris sembrava lontanissima dall'essere qualcosa di diverso da un atto di testimonianza, della serie 'esiste un altro centro-sinistra'. A campagna elettorale iniziata lo scenario si è rivelato molto diverso: Lettieri lontano dal 50% e un secondo posto al ballottaggio in bilico tra Morcone e De Magistris con il primo in vantaggio solo di poco. È difficile persino immaginare cosa succederebbe se, ipotesi non impossibile, l'ex-magistrato dovesse diventare sindaco contro il centro-destra di Cosentino ma anche contro lo stato maggiore del centro-sinistra tutto. Pesante e difficile da capire è stato il mancato appoggio alla sua candidatura del partito di Vendola, con il quale probabilmente ora sarebbe Morcone a rincorrere.
A Cagliari invece il centro-sinistra ha ritrovato l'unità attraverso le primarie proprio attorno ad un candidato vendoliano: il giovane consigliere regionale Massimo Zedda ha battuto alle primarie un pezzo da novanta del Pd, Antonello Cabras, da molti indicato come il mandante dello sgambetto che costò a Soru la fine della legislatura e la rielezione a governatore. Oggi Zedda guida tutta la coalizione contro un centro-destra che vince al primo turno e governa la città dal 1992. La partita, stando ai sondaggi, sembra aperta e questo per il centro-sinistra cagliaritano è già tanto.
Resta inoltre tutta da verificare la consistenza del terzo polo, la sua capacità di costruire una classe dirigente sul territorio, cosa molto più difficile che avere leadership televisive e carismatiche (come sono/sono state quelle di Fini e di Casini). Quanti dirigenti locali che pur condividevano le tesi di Fini quand'era ancora nel Pdl hanno deciso di seguirlo rinunciando aprioristicamente, almeno per questa tornata, a incarichi in giunta o di sottogoverno? A quali ceti, categorie professionali, figure Fli si appoggerà e parlerà?
Solo con la consapevolezza delle tante poste in palio, delle diverse speranze e delle tante frustrazioni ed ansie che si agitano nelle comunità che si recano alle urne è possibile riuscire a restituire della posta in palio un'immagine fedele e giusta. Dall'esito complessivo ne emergeranno anche delle conseguenze, forse molto rilevanti, per la politica nazionale. Ma non è giusto vederci solo questo: la dicotomia Berlusconi sì - Berlusconi no ci ha resi più pigri intellettualmente e meno curiosi, assolvendoci con l'idea che fare politica a sinistra significhi solo lavorare per liberarci di lui. Superarla è il primo modo per tornare padroni di noi stessi. Anche guardando a queste elezioni amministrative.
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da LINKREDULO di sabato 14/5/11 - http://www.linkredulo.it/politica/2072-sono-anche-elezioni-amministrative.html