mercoledì 4 maggio 2011

PRECARIO SARÀ LEI! – Il conflitto sociale all'epoca del Finanzcapitalismo

La precarietà delle condizioni materiali delle giovani generazioni dovute alla flessibilizzazione del mercato del lavoro è il luogo in cui il privato di ognuno entra in contatto e viene travolto da macro-questioni globali. È la classica faccenda del battito d’ali in una holding situata a Singapore che genera un ciclone in una famiglia della media borghesia barese. La pluralità dei battiti d’ali possibili con i quali la globalizzazione ha messo in contatto ogni individuo e la complessità del sistema all’interno dei quali questi interagiscono tra loro con una razionalità tutta da indagare contribuiscono non poco ad acuire la frustrazione delle vittime dei cicloni (finanziari, ecologici, politici etc.).

Il libro di Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, edito recentemente da Einaudi, aiuta a fare un po’ di chiarezza sul mondo in cui viviamo e su quali siano (e siano stati) i processi di ristrutturazione del capitalismo che ci hanno portato alla situazione attuale. Gallino non è nuovo ad analisi sul tema e la monumentalità dell’opera è tale che probabilmente ci tornerò nei prossimi articoli della rubrica.

In questo primo focus mi preme sottolineare il cambio di paradigma che Gallino suggerisce: quello del passaggio dal capitalismo industriale, fondato sulla “produzione di valore” al finanzcapitalismo, basato sull’“estrazione di valore”. Il passaggio è esemplificato dal superamento della forma triadica coniata da Marx D1 – M – D2 secondo la quale si investe denaro (manodopera + materie prime D1) per produrre della merce (M) e trarne un profitto superiore a quello investito (D2) alla formula diadica D1-D2, nella quale la crescita del denaro è dovuta esclusivamente ad operazioni speculative. Scrive Gallino: “il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro”. Tra i dati riportati vi è quello secondo il quale i cosiddetti “investitori istituzionali” (fondi pensione, fondi comuni di investimento e compagnie assicurative) detengono, in media, il 55% del capitale di tutte le società presenti in borsa, determinando con una quota così alta tutte le strategie di governance delle stesse. Fine di tali strategie non è quello di fare degli investimenti oculati per produrre un prodotto credibile, ma quello di accrescere, a brevissimo termine, il valore delle azioni. In tale ottica anche solo l’annuncio di piani ristrutturazioni aziendali volti a ridurre le spese (attraverso delocalizzazioni, esternalizzazioni, intensificazione dei turni di lavoro, tagli ai cosiddetti ‘rami secchi’ etc.) aumenta immediatamente il valore delle azioni.

Nel processo di produzione della ricchezza attraverso la trasformazione di materie prime in merci il capitale aveva bisogno di manodopera e su questo bisogno il mondo del lavoro ha costruito il conflitto e conquistato le tutele ed i diritti durante il ‘900; invece nello schema diadico il lavoro non è più strumento prioritario del capitale per produrre ricchezza: il rapporto tra domanda e offerta viene rovesciato ed i diritti erosi continuamente anche grazie ad uno sterminato esercito del lavoro di riserva che la globalizzazione ha offerto.

La ricostruzione di un conflitto non può che partire dalla consapevolezza di questa situazione, senza la quale qualunque iniziativa rischia di contribuire ad accrescere la frustrazione delle vittime del Finanzcapitalismo e la loro sensazione che il presente sia impolitico ed inemendabile.


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da LINKREDULO di Mercoledì 04 Maggio 2011 - http://www.linkredulo.it/opinioni/2029-precario-sara-lei--d1-d2-ed-il-lavoro-non-serve-piu.html

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