venerdì 26 marzo 2010

Discorso introduttivo dell'iniziativa elettorale "la/a SCUOLA del/dal FUTURO" - Corato 25/03/10

Pubblico il discorso introduttivo che ho letto in occasione dell'iniziativa elettorale "la/a SCUOLA del/dal FUTURO" svoltasi a Corato il 25/03/10 con l'Assessore regionale al Diritto allo Studio Gianfranco Viesti, il Coordinamento insegnanti coratini per Vendola ed un gruppo di studenti.


I nomi delle stelle sono belli:
Sirio, Andromeda, l'Orsa, i due Gemelli.
Chi mai potrebbe dirli tutti in fila?
Son più di cento volte centomila.
E in fondo al cielo, non so dove e come,
c'è un milione di stelle senza nome:
stelle comuni, nessuno le cura,
ma per loro la notte è meno scura.

Voglio aprire con questa filastrocca di Gianni Rodari questo incontro-dibattito sulla scuola co-promosso dalla Fabbrica di Nichi di Corato e dal Coordinamento insegnanti coratini per Vendola, alla presenza dell’assessore al diritto allo studio Gianfranco Viesti che ringrazio per la disponibilità.

E’ una filastrocca che ci parla di una inattualità perché invita a guardare il cielo non concentrandosi sulle stelle più note, quelle coi nomi più grandi e altisonanti, ma su tutte le stelle: quel milione di stelle senza nome, comuni, prive di cura, a cui il viandante notturno deve gratitudine per la luce che dignitosamente, senza la riconoscenza di vedersi chiamate con un nome proprio e cantate con questo dai poeti, emanano.

E’ una filastrocca inattuale in un tempo in cui un individualismo strisciante e l’esaltazione del privato hanno occupato interamente la scena, rubandola ai sogni collettivi, alla dignità faticosamente conquistata da milioni di individui che nel novecento hanno fatto irruzione sulla scena pubblica, contribuendo materialmente a determinare le nostre vite. Un privatismo di cui hanno sofferto e soffrono soprattutto le comunità ed i territori lontani dai centri di potere, quei territori e quelle comunità capaci di tirar fuori il meglio di sé proprio dal lavoro, dal sacrificio fatto lontano dai riflettori, privo di celebrazioni.

In assenza di ragioni collettive ogni individuo è più solo, derubato di una prospettiva diversa per sé e per i propri figli in una società più giusta, si guarda intorno, angosciosamente alla ricerca di capri espiatori della sua prigionia sociale e culturale. Si spiegano così i due fenomeni politici che l’hanno fatto da padrona nell’Italia degli ultimi vent’anni: il berlusconismo, la celebrazione di quell’uomo che si è fatto da solo infrangendo ogni regola, calpestando ogni legame sociale e rivendicando ciò come un merito, ed il leghismo, la rivendicazione di un egoismo sociale che misconosce ogni forma di solidarietà che non sia quella pietistica, che scaccia come ipocrisia e buonismo ogni proposta di dibattito collettivo che tenga in considerazione le posizioni degli ultimi.

La scuola pubblica, la più imponente presa in carico delle disuguaglianze, impegnata non a lenire le ferite che queste causano, ma a creare le condizioni affinché queste non si riproducano, era inevitabile che diventasse anno dopo anno un corpo estraneo di una società cinica e disillusa. Nata come terminale di uno stato che con essa costruiva la propria unità territoriale e sociale, in una società che riconosceva autorevolezza e credibilità agli insegnanti, con la brusca virata degli ultimi vent’anni la scuola pubblica si è ritrovata orfana di un progetto, di una missione, a dover fare i conti con un progressivo ridimensionamento delle risorse. Ed a proposito dell’autorevolezza e della credibilità degli insegnanti, stelle senza nome che illuminano la notte delle periferie, dei quartieri popolari, che silenziosamente costituiscono l’impalcatura di una società e di uno stato che troppo spesso li ha umiliati, abbiamo assistito ad una delegittimazione quotidiana (spesso a voce alta) come quella riservata a tutti i dipendenti pubblici: silenziosamente ha prevalso un tipo umano ad essa completamente antitetico che alla credibilità ed all’autorevolezza ha sostituito il fascino del successo ad ogni costo, alla dedizione per il proprio lavoro le payette ed i lustrini, fieramente indifferente ad ogni cosa che si discosti di un millimetro dal proprio interesse e dalla propria auto-realizzazione.

Questo processo che può apparire lontano, distante dalle nostre vite, è più vicino di quanto si possa immaginare. La rappresentazione plastica della marginalità del mondo della scuola dal dibattito politico, l’esilio pubblico a cui questa è stata relegata dai nostri tempi arriva fin nelle nostre istituzioni cittadine: zero consiglieri comunali su 30 e zero assessori comunali su 10 provengono dal mondo della scuola. E’ l’immagine chiara di come oggi il “mondo che conta” sia altrove: nelle imprese, negli ospedali, negli studi professionali.

Negli ultimi anni poi, noi pugliesi ci siamo trovati a dover fare i conti con un duplice fenomeno: i tagli del ministro Gelmini e le iniziative del Governo regionale in materia di pubblica istruzione.

I primi hanno avuto il sapore di una vera e propria resa dei conti che mette in ginocchio definitivamente un corpo già provato. Dopo aver reso vana la promessa di uguaglianza che la scuola opera quotidianamente e faticosamente, avendo costruito una società, lì fuori dalla scuola, che vanifica ogni tentativo di far partire tutti dallo stesso livello, ora il governo sembra voler zittire definitivamente quella promessa stessa: ‘non siamo tutti uguali, quindi è inutile sprecare risorse per provare a diventarlo’. La retorica messa in atto dal ministro Gelmini e dal ministro Brunetta sulla meritocrazia sono un astuto tentativo di mimetizzare una nuova forma di classismo: se non meriti è inutile che ti lagni, che evochi disagi sociali e familiari, che ti aspetti che la comunità perda tempo e risorse per permetterti di rimetterti in carreggiata. Se non meriti, scendi dal treno della scuola e dell’università pubblica e guai a quei controllori che non si mostrano tassativi ed inflessibili, appesantendo il convoglio e con esso tutto il paese.

Non siamo stati abbastanza attenti di fronte a questa astuzia retorica, eppure bastava ricordarsi il titolo di uno dei capitoli di “Lettera ad una professoressa” di Don Lorenzo Milani: “la scuola dell’obbligo non può bocciare”: non può farlo quella scuola che opera nei quartieri popolari laddove sbattere la porta in faccia ad uno studente significa rispedirlo in case povere di ogni voglia di emancipazione sociale, non può rinunciare a cuor leggero ad insegnargli il piacere di saper leggere e scrivere, argomentare, difendere la propria dignità e l’onestà del proprio lavoro, non può rinunciare a far questo soprattutto in quei quartieri in cui domina la criminalità organizzata. Non può darsi pace la scuola pubblica immaginandosi come un ufficio protocollo cui ognuno si presenta con il proprio bagaglio di merito da far autenticare. Non così è stata pensata, non è stata scelta per questo da chi ha deciso di dedicargli la propria vita.

A fianco di questi provvedimenti umilianti, chi lavora nella scuola e la cittadinanza pugliese tutta ha conosciuto poi le politiche del governo regionale. Non mi dilungherò in merito ad esse, abbiamo la fortuna di avere con noi chi le ha messe in atto ed avrà modo di esporle e spiegarle. Mi limito a dire che hanno avuto il sapore di un’inversione di tendenza: dopo tanti anni c’era qualche istituzione che non solo stanziava fondi per la scuola pubblica, ma rivendicava ciò come un investimento di civiltà, come un dovere della pubblica amministrazione. Non è un caso che un gruppo di docenti a Corato, vistisi rispettati e re-investiti della missione cui hanno deciso di dedicare la propria vita, abbia voluto essere parte di questa campagna elettorale.

L’involuzione che ho raccontato, e che in Puglia ha finalmente trovato un’inversione di tendenza, ha ragioni profonde sulle quali tutto il centro-sinistra italiano dovrà riflettere molto se vorrà presentare un progetto credibile all’elettorato ed all’opinione pubblica. Con la crisi economica del 2008 un ciclo politico sembra essersi concluso, un ciclo politico in cui le forze progressiste si sono viste messe nell’angolo, private del loro vocabolario e costrette ad inseguire le politiche delle forze neo-conservatrici. Rimetterci in cammino oggi significa riconoscere gli errori fatti. L’ha fatto magistralmente Romano Prodi con un’editoriale su “Il messaggero” del 14 Agosto scorso in cui scriveva:

“La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour era una fucina di novità, nella prassi di governo i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio.

Sul dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. […]

Nel frattempo il cambiamento della società continuava secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell’uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale.”

E poi: “per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti”. In Puglia ciò sta avvenendo già da tempo e le politiche scolastiche sono un tentativo di ricostruire, sotto le macerie di una società cinica e individualistica, un vincolo solidaristico.

Da sempre le decisioni che un governo prende in materia di pubblica istruzione parlano non solo della pubblica istruzione: ci danno la traccia della volontà di questo di investire sul futuro, di affrontare le disuguaglianze, di non rassegnarsi ad esse. Non è un caso che quando scendono in piazza gli studenti, i precari della scuola, manifestano un malessere sociale diffuso e nello stesso tempo suscitano speranze in settori dell’opinione pubblica distanti dal mondo della scuola e dell’università. Non è un caso se oggi le politiche scolastiche del governo regionale suscitano interesse anche in quei settori.

Da anni attraversiamo la notte, con l’angoscia di chi attende un’alba che ci restituisca speranze e dignità. Tante albe ci sono state annunciate per poi rivelarsi illusorie e ricacciarci ancora più soli nel buio. Da molti oggi la Puglia è descritta come un’alba possibile per il nostro paese, ed è nostro dovere coltivare questa possibilità. La notte sarà ancora lunga, non dobbiamo farci illusioni aspettando che l’alba arrivi da un momento all’altro, ma impegnare i nostri sforzi per orientarci nel buio e cominciare un nuovo cammino; e l’unica guida possibile sono le stelle, quel milione di stelle senza nome, comuni, che nessuno cura ma che possono renderci la notte meno scura ed il viaggio meno solitario.

Buon cammino a tutti!


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