sabato 3 gennaio 2009

Le ferite narcisistiche dei nostri tempi

Gli anni '90 sono finiti da quasi un decennio ed ancora oggi non siamo riusciti a dar loro una forma, a capire cosa erano, e quindi chi siamo noi che quegli anni abbiamo vissuto o nei quali vi siamo cresciuti. Un luogo comune ed un giudizio affrettato parlano degli anni '80 come di un periodo di decadenza, anti-estetico e caratterizzato da passioni avvizzite ed volgari. Cosa pensare allora di un decennio che tutt'oggi non ci richiama all'urgenza ne' di un'analisi ne' di un pregiudizio, ma che ci lascia pascere come se quegl’anni non ci fossero mai stati o, peggio ancora, non meritassero neanche la nostra attenzione? Su tutto ciò che viene dopo gli anni ’80 l’unica cosa che si sente dire è che "non è più come una volta": molto spesso siamo proprio noi, padroni dei nostri anni migliori negli ultimi due decenni a cedere a questa lettura auto-assolutoria senza tentare di riprenderceli con tutta la sana arroganza della giovinezza.
L'indifferenza assieme all'indocilità purtroppo non è però solo un dato generazionale: se così fosse sarebbe ben poca cosa. Sono sentimenti diffusi con i quali gli anni '90, con il loro benessere e nell'illusione ottimistica diffusa di stare seguendo il percorso giusto, hanno pericolosamente formato una generazione e fatto vivere ed operare tutte le altre.
Non abbiamo ancora preso coscienza di come invece il decennio che si sta concludendo sia decisamente diverso dal precedente. Apertosi con l'attentato alle Torri Gemelle ci ha posto innanzi eventi e fenomeni storici tragici di portata epocale, davanti ai quali non siamo stati in grado di rispondere adeguatamente (mettendoci in discussione, accettando le sfide e svegliandoci dal torpore). Negli anni '00 abbiamo pagato in indocilità politica l'indocilità morale degli anni '90. Presto prenderemo coscienza e dovremo fare un bilancio, improvvisamente, di due decenni profondamente diversi ma strettamente connessi. Ad oggi, qui in Italia, possiamo ripartire da tre fenomeni che su tre scale diverse, al pari di Copernico, Darwin e Freud, hanno impresso delle ferite narcisistiche al nostro torpore politico. Freud stesso usò quest'espressione per descrivere come, in epoche diverse, delle scoperte scientifiche avessero incrinato le certezze dell'uomo: Copernico aveva dimostrato che il suo mondo non era al centro dell'universo e Darwin che era fatto più a somiglianza delle scimmie che di Dio. Freud, ponendo la scoperta dell'inconscio in continuità con quelle fatte dai due studiosi, spiega come con essa l'uomo ha appreso di non essere padrone della sua coscienza.
Nell'ultimo decennio su tre livelli diversi è avvenuto qualcosa di simile: eventi accaduti e fenomeni maturati ci hanno violentemente ricordato come il nostro modello di vita vada rivisto assieme alla convinzione circa la "fine della storia" (che come immediato corollario ha avuto quello che non è necessario farla, ma basta guardarla dalla finestra; ovvero, basta guardare il nulla).
Mondo. L'11 Settembre, con l'annessa radicalizzazione dello scontro con il mondo islamico e l'enorme sviluppo (espressione che ha definitivamente sostituito "'l'emergere") di nuove economie nel mondo asiatico, ha dimostrato che non viviamo nell'unica parte del mondo destinata a dominare le altre, quella in cui si è diffuso l'unico modello di sviluppo possibile. Una sensazione di vulnerabilità ci è tornata a correre lungo la schiena e quando parliamo di Al Quaeda ed Iran o del mercato cinese o indiano nessuno pensa neppur lontanamente di abbozzare un sorriso di scherno verso la natura tribale di quelle pratiche religiose o di quel modello di sviluppo: ci sentiamo minacciati da entrambi e talvolta non sappiamo dove poter prendere le energie per reagire.
Occidente. La crisi economica dell'ultimo autunno e tutt'ora in corso è senz'altro un fenomeno complesso ed ancora in fase di decifrazione. Nell'opinione pubblica ha però diffuso, come naturale, un senso di profonda insicurezza a cui dovranno necessariamente giungere delle risposte non solo in termini economici, ma anche politici e culturali. Il nostro modello di sviluppo ha dimostrato di poter fallire: apparentemente una banalità, ma questa semplice consapevolezza può aprire gli orizzonti più vari. E già questa possibilità è una importante novità.
Italia. Il fallimento del governo Prodi 2 e del centro-sinistra che lo sosteneva, con il conseguente ritorno al governo di Berlusconi ha dimostrato come il berlusconismo non sia solo un fenomeno passeggero di cui è sufficiente aspettare la fine. Il berlusconismo incarna l'animo profondo dell'Italia, è un nodo irrisolto non della politica ma della società. Non basta turarsi il naso e demandare alla classe politica la risoluzione del problema. La sfiducia verso la classe politica ed in particolare modo verso le opposizioni, ha due lati della medaglia: uno costruttivo e l'altro completamente distruttivo. Quest’ultimo è in continuità con il berlusconismo perché utilizza la sfiducia come motivo valido per il ritiro agli affari privati; il primo lato invece si incanala in una presa di coscienza ed in una assunzione di responsabilità. Il secondo fa indigestione di retorica (ed a lungo andare si logora) ma a conti fatti non produce nulla, il primo si nutre di pratiche, studio, impegni, sacrifici, organizzazione. In una parola: di politica.
A legare questi tre livelli c’è sempre una maggiore divaricazione tra ceti sociali poveri ed elite ricche: situazione che, oltre a chiedere giustizia, produce inevitabilmente un clima sociale e politico instabile che non necessariamente sfocerà in una presa di coscienza collettiva. Troppo spesso nella storia è successo esattamente l’opposto.
Per oltre vent'anni l'illusione che le vite private andassero naturalmente nella direzione giusta ci ha legittimati a chiedere alla politica di fare passi indietro e di lasciare che quelle seguissero il loro naturale percorso. Nella prima metà di questi vent'anni questo atteggiamento aveva un senso, nella seconda metà è stato solo un automatismo autolesionista. Oggi non abbiamo altra strada da percorre se non quella di chiedere al mondo, ma soprattutto a noi stessi, più politica: abbiamo tutte le ragioni per farlo e nessuna scusa per esimercene.