Come ha scritto Luciano Gallino all’indomani del referendum di Pomigliano, con quella vicenda è calato il velo che copriva la globalizzazione: la più grande azienda per prima in Italia imponeva ai lavoratori di accettare la rinuncia al diritto di sciopero e la riorganizzare dei turni sotto il ricatto occupazionale. Quella vicenda, come quella odierna di Mirafiori, è la rappresentazione plastica della crisi epocale della sinistra, messa nell’angolo a livello mondiale da una riorganizzazione del processo produttivo che ha privato il mondo del lavoro di qualunque strumento per far valere la propria voce. Il fatto stesso che a Pomigliano si sia arrivati a quel referendum e che su Mirafiori si discuta delle opzioni proposte da Marchionne, indipendentemente dall’esito di entrambe le questioni, è una sconfitta per la sinistra. Pertanto non ho capito a Pomigliano e non capisco oggi a Mirafiori perché ci si affretti così tanto a tifare per le opzioni in campo certificando in tal modo di essere minoritari. Sbagliava chi a Pomigliano dava dei “crumiri”ai lavoratori pronti a votare sì, sbaglia a Mirafiori chi tifa per l’accordo permettendosi di dare consigli agli operai come se la scelta fosse scontata.
I rapporti in fabbrica e le battaglie del movimento operaio sono state dall’ottocento fino agli anni ’70 circa basate sulla situazione di fatto che incrociando le braccia gli operai costringevano i propri datori di lavoro a tenere fermi i macchinari su cui avevano investito ingenti capitali, le materie prime conservate nei depositi ed i quadri intermedi stipendiati per non far niente. Il lavoro, l’occupazione erano sinonimi di dignità perché ingeneravano un processo di emancipazione: non era il lavoro in sé a nobilitare lavoratore, ma il fatto che esso vincolasse il datore di lavoro a dover dar conto delle richieste che il lavoratore gli faceva. Oggi lo strumento dello sciopero è spuntato e qualunque lotta non può essere intesa come un braccio di ferro tra capitale e lavoro: il capitale ha la vittoria assicurata dalla possibilità di poter abbandonare il tavolo ed andare a giocare altrove. Una situazione del genere obbligherebbe una sinistra decente a non dormire la notte angosciata dall’assenza di prospettive, altro che la serenità di chi dispensa “buoni consigli”…
L’unico strumento rimasto oggi al mondo del lavoro è quello di coinvolgere nella battaglia un elemento terzo: l’opinione pubblica, quella che per il suo datore di lavoro rappresenta l’acquirente possibile e per la politica l’elettore possibile. Tutte le battaglie vinte ultimamente dai lavoratori in Italia hanno avuto la loro forza non nel mettere in crisi il sistema produttivo e gli investimenti fatti dal capitale ma nella capacità di comunicare con gesti eclatanti all’opinione pubblica la propria condizione di sfruttamento e di ricatto, a tal punto da obbligare la politica ad intervenire e la controparte a desistere, pena un calo di consensi elettorali e di crisi di vendite. Con un sindacato, la Fiom, che riprende coraggio ed è capace di imporsi all’opinione pubblica come soggetto forte (nonostante le divisioni con le altre sigle), per la sinistra dovrebbe essere più facile il compito di difendere i lavoratori, di chiedere al governo di fare da arbitro nella vicenda. Prevale invece una sorta di fatalismo, l’affanno di dimostrare che non si è estranei a quella che in molti chiamano “modernizzazione”, come se la storia camminasse su un binario unico ed in un’unica direzione. L’accettazione aprioristica di qualunque destino collettivo però è qualcosa di molto diverso da qualunque modernizzazione, si chiama totalitarismo. Per questo quelle di Pomigliano e Mirafiori sono questioni epocali.
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da Linkredulo di Venerdì 31 Dicembre 2010 - http://www.linkredulo.it/opinioni/1703-lepocale-ballata-della-fiat.html
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