sabato 25 febbraio 2012

Governo Monti: insensibili a chi?


Ieri Mario Monti, di fronte ai finanzieri italiani cui ha fatto visita Piazza Affari, ha commentato l'ipotesi che i sindacati si dichiarino indisponibili a discutere di una riforma del mercato del lavoro che metta in discussione l'articolo 18 con queste parole: “Cerchiamo di essere sensibili, sul piano intellettuale, ad argomentazioni da qualsiasi parte provengano. Allo stesso tempo ci sforziamo di essere insensibili alle pressioni”. L'insensibilità alle pressioni è coerente con l'immagine data fin'ora dal governo Monti, quella cioè di un governo del buon senso che mette da parte le contrapposizioni, le rivendicazioni corporative e pensa al bene dell'Italia.

Ci troveremmo quindi di fronte ad un governo venuto da Marte, senza il bisogno di rispondere a nessuno del proprio operato e libero di ignorare i piagnistei di tutti, e tra questi tutti ci sono anche i sindacati. Il problema in questo sillogismo risiede proprio in quel “tutti”, e per coglierlo non c'è bisogno di ricorrere a teorie del complottoCorsivo: la realtà è sotto i nostri occhi. A cosa serve lo spread se non ad indicare ai governi quanto e come devo essere “sensibili” alla volontà degli investitori istituzionali? E cosa chiedono gli investitori istituzionali: la garanzia che i crediti che hanno contratto vengano onorati da tutti, stati compresi ed a qualunque costo sociale. David Harvey nel suo “Breve storia del neoliberismo” individua come passaggio dall'egemonia keynesiana a quella neoliberista la sostituzione della priorità della piena occupazione (e quindi degli investimenti necessari a garantirla) con quella del pareggio di bilancio delle pubbliche amministrazioni (che quindi devono operare dei tagli per garantirlo).

Dall'estate abbiamo imparato a conoscere lo spread come termometro dell'appetibilità finanziaria dei nostri titoli di stato. Lungi dall'essere insensibile alle pressioni, il governo Monti è nato proprio come risposta alle pressioni che gli investitori istituzionali, seguiti da Francia e Germania e dal Fmi, hanno fatto sulla politica italiana dimostrando inequivocabilmente di non fidarsi più del governo Berlusconi. Alla vigilia dell'affidamento dell'incarico di formare il governo a Monti, l'economista Giacomo Vaciago, vicino al futuro premier, dichiarò in un'intervista al Fatto quotidiano che il futuro governo sarebbe dovuto “piacere più al resto del mondo che agli italiani”, intendendo per “resto del mondo” proprio le cancellerie europee e gli investitori istituzionali.

Altro che insensibile alle pressioni, il governo Monti è, come qualunque altro governo, figlio di ben specifiche pressioni. Il che non lo rende di per sé cattivo, ma non lo autorizza neanche a delegittimare il ruolo del sindacato relegando le rivendicazioni che questo avanza alla stregua di quelle dei farmacisti, degli evasori e dei notai, catalogate tutte genericamente sotto l'etichetta 'interessi corporativi'. Dalla caduta del muro di Berlino (ma in parte già dal decennio precedente) assistiamo alla mistificazione di chi si presenta post-ideologico descrivendo le leggi del mercato come una specie di stato di natura a cui non si può far altro che adeguarcisi. Se c'è una discontinuità di cui abbiamo bisogno non è quella della sobrietà e del loden ma quella che consiste nel riprenderci la sovranità che ci è stata sottratta dalle mistificazioni dei sedicenti insensibili.


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da LINKREDULO del 21/2/12 - http://linkredulo.it/giornale/politica/2480-governo-monti-insensibili-a-chi.html

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