sabato 25 febbraio 2012

Il Finanzcapitalismo sfiducia Berlusconi. C'è da rallegrarsene?


Al di là della febbrile attesa per l'epilogo del governo Berlusconi e della storia politica che sembra con esso chiudersi, ciò che si sta svolgendo in queste settimane in Europa svela un tratto importante della nostra epoca e degli equilibri internazionali disegnati negli ultimi trent'anni.

La proposta dell'ormai ex premier greco Papandreu e (in misura diversa) la possibilità che la caduta del governo Berlusconi porti ad elezioni anticipate (e non ad un governo tecnico che si faccia interprete delle direttive di Ue e Fmi) hanno allarmato le cancellerie europee. Che il ricorrere al debito per finanziare le manovre annuali significasse in una certa misura la perdita della sovranità degli Stati è stato detto da più parti da diversi anni. Il centro-sinistra italiano ha ispirato a questo principio gran parte delle proprie politiche di rigore (colpevolmente non collegando questo passo necessario ad un complessivo disegno di redistribuzione della ricchezza).

Ogni anno gli Stati indebitati tornano sul mercato, chiedendo agli investitori istituzionali di prestargli i soldi per attuare le proprie politiche. Gli investitori istituzionali però, si sa, non prestano soldi in cambio di niente: chiedono in cambio garanzie di rendimento a breve termine. Lo Stato che ne usufruisce deve quindi ispirare le proprie politiche in questa direzione: da qui nasce lo smantellamento della spesa sociale ed il blocco di qualunque investimento sul lungo termine. Per qualche decennio ci siamo illusi che questo meccanismo fosse governabile. Il rischio default (reale o meno) ha gettato via quest'illusione: occorre assecondare il volere dei creditori e farlo alla svelta, ed oggi i creditori chiedono che vengano attuate le misure di cui Ue e Fmi si sono fatti interpreti e chiedono che Berlusconi si faccia da parte, perché non credono alle promesse elettorali, non ascoltano la propaganda ma guardano i dati di fatto.

Al di là di tutti i fattori interni che stanno determinando la crisi del berlusconismo, forse alle battute finali, non bisogna dimenticare questo: il primo a sfiduciare il governo italiano è quello che Luciano Gallino ha chiamato Finanzcapitalismo, quell'evoluzione del capitalismo determinata dalla progressiva cannibalizzazione del capitalismo industriale e dello stato keynesiano da parte della finanza. Le decisioni degli Stati dipendono cioè sempre più dalle richieste che provengono dal mondo finanziario e sempre meno dalla volontà popolare di cui questo complesso meccanismo può in condizioni normali fare a meno (riducendola a recita) ed in condizioni di crisi, quando cioè il tutto diventa palese, deve farne a meno.

Il berlusconismo è nato come interprete dell'epoca in cui tutto questo era visto come fattore virtuoso e rischia di finire perché incapace di corrispondere alle richieste che quel mondo avanza. Chiudere i conti con esso non può significare mostrarsi interlocutori più seri delle richieste provenienti dai mercati finanziari ma farsi interpreti di un progetto che unisca la riconquista della sovranità degli Stati (o magari dell'Europa) ad un disegno di redistribuzione della ricchezza e delle opportunità.


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da LINKREDULO dell'8/11/11 - http://linkredulo.it/giornale/politica/2345-il-finanzcapitalismo-sfiducia-berlusconi-ce-da-rallegrarsene.html


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